Capire cosa succederà realmente sul fronte dazi Usa è un “terno al lotto”, ad oggi, mentre le trattative tra Stati Uniti ed Ue vanno avanti, nonostante i fiumi di parole e le dichiarazioni di questi giorni, come è naturale che sia. Certo è che se i dazi oggi al 10% sono un freno, quelli al 30% annunciati da Trump dal 1 agosto, se non si troverà una soluzione migliore, sarebbero un vero e proprio macigno, o un “embargo de facto”, secondo molti, ed è chiaro che ad essere più colpiti sarebbero quei territori o vini più esposti in Usa. Come Prosecco, ma anche Pinot Grigio, Chianti, Brunello di Montalcino, Barolo e Nero d’Avola dalla Sicilia, come sottolinea l’osservatorio di Edoardo Freddi, una delle più avanzate realtà italiane dedicate all’export, con oltre 60 cantine con marchi che vanno da Marchesi di Barolo a San Michele Appiano, da San Leonardo a Suavia, da Villa della Torre a Michele Satta, da Vallepicciola a Citra, da Montevetrano a Librandi, da Mottura a Pellegrino 1880, per citarne alcune, con un fatturato gestito 2024 superiore a 112 milioni di euro (+8,2% sul 2023), e con oltre 30 milioni di bottiglie commercializzate soprattutto in Usa, Germania, Svizzera, Danimarca, Singapore, Giappone e Vietnam (e tra i promotori del manifesto “Envisioning2035 Wine (R)evolution”).
“Con il possibile inasprimento dei dazi americani nei confronti dei prodotti europei, si apre un nuovo capitolo per il vino italiano negli Stati Uniti. Nessun allarmismo, ma è lecito ipotizzare scenari in cui alcune denominazioni - per posizionamento, volumi o presenza strategica sul mercato statunitense - potrebbero risultare più esposte di altre”, commenta Edoardo Freddi. Che aggiunge: “secondo le stime del nostro “Osservatorio Edoardo Freddi International” che mappa centinaia tra produttori, importatori, distributori e wine lovers in Italia e nel mondo, tra i vini potenzialmente più a rischio troviamo alcune delle eccellenze simbolo del nostro export. Al primo posto come coefficiente di rischio troviamo il Prosecco (secondo il 46% dei pareri), seguito dal Pinot Grigio (40%). Terzo il Chianti (36% delle opinioni), quasi a pari merito con il Chianti Classico (35%). Quinto troviamo il Brunello di Montalcino (31%), poi Barolo (28%) e Barbaresco (26%). Ottava piazza per l’Amarone (22%), nono secondo il 19% degli intervistati il Montepulciano d’Abruzzo. Chiude decimo il Nero d’Avola secondo il 16% dei pareri”.
“Si tratta di vini che, per successo commerciale, riconoscibilità e volumi esportati, rappresentano un’ossatura importante del vino italiano negli Usa. Un cambiamento nei costi doganali potrebbe influire sulle dinamiche di prezzo e competitività sullo scaffale”, commenta Freddi, che allo stesso tempo, però, invita tutto il settore a riflettere su nuove strategie: diversificazione dei mercati, rafforzamento del valore percepito, investimenti in branding e storytelling per consolidare il legame con il consumatore americano. “Il vino italiano, già abituato a navigare scenari globali complessi, ha gli strumenti per affrontare anche questa sfida. Ma restare vigili è fondamentale”.
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