Un dazio al 15% “all inclusive”, come lo ha definito la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, oltre il quale non si andrà, che varrà per la maggior parte delle merci che l’Unione Europea esporterà verso gli Stati Uniti, tra cui “auto, semiconduttori e farmaceutici”, ma anche un accordo per tariffe “zero per zero su una serie di prodotti strategici. Ciò include tutti gli aeromobili e i componenti, alcuni prodotti chimici, alcuni generici, apparecchiature per semiconduttori, alcuni prodotti agricoli, risorse naturali e materie prime critiche. E continueremo a lavorare per aggiungere altri prodotti a questo elenco”. Così, nella tarda serata di ieri, la Von der Leyen, dopo l’incontro con il presidente Usa Trump, che sembra aver segnato un passo decisivo nella querelle dazi tra Usa e Ue, disegnando il nuovo scenario che partirà dal 1 agosto, salvo ulteriori rinvi. Un accordo che, in attesa del testo finale e di sapere quali settori saranno “salvati” dai dazi, lascia un misto di delusione e speranza al mondo del vino, che non è che una piccola parte della posta in causa, visto che come ricordato dalla stessa Von der Leyen, i due mercati delle sponde dell’Atlantico scambiano 1,7 trilioni di dollari all’anno, nel complesso, generando quasi il 44% del Pil totale. Di cui il vino rappresenta rappresenta davvero una minima parte, e forse anche per questo spera di essere incluso nella lista del “zero per zero”, come sperano peraltro tutti gli operatori del settore tanto dall’Europa che dagli Stati Uniti d’America. Secondo il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), si tratta di un accordo “che pone le basi per il futuro commercio tra i due maggiori partner commerciali globali”, con l’invito ad entrambe le parti ad includere il vino nella lista dei prodotti “zero per zero”.
“Stiamo ancora attendendo i dettagli completi dell’accordo raggiunto e seguiamo con grande attesa l’esito dei prossimi negoziati riguardo all’elenco dei prodotti che saranno inclusi nell’accordo tariffario “zero per zero” tra cui alcuni prodotti agricoli”, ha dichiarato Marzia Varvaglione, presidente Ceev. Che ha aggiunto “crediamo fermamente che il commercio di vino sia di grande beneficio sia per le aziende dell’Ue che per quelle statunitensi, e debba essere incluso nell’accordo tariffario “zero per zero”. E non è solo la parte europea a dirlo: anche le nostre controparti statunitensi sono state forti sostenitrici della protezione di questo scambio vitale”, ha aggiunto Varvaglione. Parole che trovano indiretta conferma in quelle di Ben Aneff, alla guida della Wine & Spirits Trade Alliance, secondo cui, dall’accordo annunciato, in attesa del testo, ci sono ancora delle domande che attendono risposta. Come, per esempio, capire se i dazi al 15%, nella peggiore delle ipotesi, o a zero, nella migliori, si applicherebbero anche al vino già in transito o meno. “Per ora, possiamo dire con certezza che il risultato più estremo, un dazio del 30-50% sul vino dell’Unione Europea già dalla prossima settimana, sembra essere stato evitato. Il vino dell’Ue - conferma Aneff - fornisce un notevole surplus economico agli Stati Uniti, generando miliardi di entrate su cui fanno affidamento le piccole imprese in tutti gli Stati Uniti. Questa realtà economica è al centro della nostra attività di advocacy e rimaniamo fiduciosi che questo valore sarà riconosciuto quando i carve-out saranno finalizzati. Abbiamo in programma incontri con le agenzie competenti questa settimana e continueremo a sostenere che il vino è una pietra miliare di una sana economia della distribuzione e dell’ospitalità negli Stati Uniti”.
D’altra parte, ricorda ancora il Ceev, “il commercio di vino tra l’Ue e gli Stati Uniti è da tempo una relazione economica reciprocamente vantaggiosa, che sostiene migliaia di imprese, posti di lavoro e comunità su entrambi i lati dell’Atlantico. Per ogni dollaro che gli europei guadagnano vendendo vino agli Stati Uniti, i settori americani della distribuzione e dell’ospitalità ne guadagnano 4,50. Preservare questo commercio dovrebbe essere una priorità condivisa”. La potenziale imposizione di un dazio del 15% sui vini dell’Ue causerebbe perdite economiche significative non solo per i produttori di vino dell’Ue, ricorda ancora il Comitè, ma anche per le imprese statunitensi coinvolte nell’intera catena di approvvigionamento. “Se combinato con uno spostamento del 15% nel tasso di cambio dollaro/euro, l’onere finanziario complessivo sul settore potrebbe raggiungere il 30%. I volumi di esportazione potrebbero diminuire immediatamente fino al 10%, con danni a lungo termine alla quota di mercato e alle relazioni commerciali”.Ma in ogni caso, dopo mesi di tensioni commerciali, c’è un “cauto ottimismo”. “È incoraggiante sapere che potremmo essere a pochi giorni dalla fine dell’incertezza commerciale che ha gravato sul nostro settore negli ultimi mesi”, ha affermato Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale Ceev. “Tuttavia, le conseguenze del mancato inserimento del vino nell’accordo finale “zero-per-zero” - ha aggiunto - sarebbero gravi: per questo motivo, chiediamo ai negoziatori di agire in modo decisivo: includere il vino nell’accordo e salvaguardare un commercio che ha sempre generato valore, crescita e cooperazione”, ha aggiunto Recarte.
Venendo alle reazioni “nazionali”, scarseggia la soddisfazione anche se, vale la pena ribadirlo, in attesa della lista definitiva dei prodotti soggetti o meno a dazio, si parla di ipotesi. “Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano. Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Il danno salirebbe a 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione. Facciamo sin d’ora appello al Governo italiano e all’Ue per considerare adeguate misure per salvaguardare un settore che grazie al buyer statunitense era cresciuto molto”, ha commentato il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi.“Con l’incontro in Scozia fra i presidenti Trump e von der Leyen si è almeno usciti da un’incertezza che stava bloccando il mercato; ora - aggiunge Frescobaldi - sarà necessario assumersi il mancato ricavo lungo la filiera per ridurre al minimo il ricarico allo scaffale. Secondo le nostre analisi, a inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo della stessa bottiglia sarebbe vicino ai 15 dollari. Con la conseguenza che, se prima il prezzo finale rispetto al valore all’origine aumentava del 123%, da oggi lieviterà al 186%”. Per l’Osservatorio Uiv, il conto si fa molto più salato alla ristorazione, dove la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo (con un ricarico normale) 60 dollari. “Non ci si può ritenere soddisfatti per questo accordo - ha detto il segretario generale di Unione Italiana Vini, Paolo Castelletti - un dazio al 15% è certamente inferiore all’ipotesi del 30%, ma è altrettanto vero che questa tariffa è enormemente superiore a quella, quasi nulla, del pre-dazio. Rispetto ai competitor europei, l’Italia rischia inoltre di subire un impatto maggiore, da una parte per la maggiore esposizione netta sul mercato statunitense, pari al 24% del valore totale dell’export contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna; dall’altra per la tipologia dei prodotti del Belpaese che concentrano la propria forza sul rapporto qualità prezzo, con l’80% del prodotto che si concentra nelle fasce “popular” - quindi a un prezzo franco cantina di 4,2 euro al litro - e con solo il 2% delle bottiglie tricolori collocato in fascia superpremium”.
Secondo l’Osservatorio Uiv, il rischio - qualora non si attivasse una riduzione dei ricavi lungo la filiera, che rappresenta comunque un danno - è di trovarsi, a fine 2026, vicino ai valori espressi nel 2019. Per Uiv (Unione Italiana Vini), ben il 76% (l’equivalente di 366 milioni di pezzi) delle 482 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in “zona rossa”, con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. Aree enologiche, con picchi assoluti, per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, quelli piemontesi al 31% così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.
“Un’ipotesi di dazi al 15% pone una criticità evidente per il comparto - dichiara Giacomo Ponti, presidente Federvini - e l’obiettivo condiviso resta arrivare ad una percentuale inferiore, più sostenibile per le nostre imprese, pur avendo presente che l’optimum sarebbe dazio zero. La speranza è che entro il primo agosto si possa avere un ulteriore margine per impostare le nostre relazioni commerciali con un partner fondamentale e un alleato strategico come gli Stati Uniti”. Federvini sottolinea la necessità di un’intesa trasparente e di lungo periodo, che consenta alle imprese di pianificare con fiducia: “è importante capire - prosegue Ponti - se esistano spazi per un confronto più approfondito e tecnico, in grado di considerare le specificità dei singoli settori e delle diverse categorie merceologiche. Serve una lettura equilibrata, che eviti generalizzazioni potenzialmente dannose”. Altro aspetto delicato riguarda le modalità di applicazione: “il 15% è comunque una percentuale che sposta verso l’alto il dazio ad valore - precisa Ponti - ma è essenziale chiarire se si tratti di un’aliquota unica o se andrà ad aggiungersi a dazi già esistenti. In quest’ultimo caso, le conseguenze sarebbero ancora più critiche per la competitività delle nostre esportazioni. Le trattative devono proseguire - conclude Ponti - con spirito pragmatico e visione strategica. In gioco non c’è solo un segmento industriale, ma un modello produttivo fondato su qualità, identità e rapporti internazionali costruiti nel tempo”. Ma, intanto, come detto, in attesa del testo definitivo, la partita non è chiusa, e la speranza che il vino si salvi dai dazi americani è ancora viva.
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