Per adesso siamo al 15% ma la speranza per il mondo agroalimentare, vino in testa, è che il comparto possa finire nella lista “zero tariffe”, in attesa del documento definitivo che chiarirà, finalmente, la questione dazi. Ma l’incontro che si è tenuto domenica scorsa in Scozia, e dove si è arrivati all’accordo sul 15% dei dazi, tra la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha generato reazioni positive da parte delle organizzazioni che rappresentano l’agricoltura. Da Coldiretti a Fedagripesca Confcooperative, il “sentiment” non è positivo anche se, ovviamente, l’eventuale inserimento dell’agroalimentare nella “lista zero” potrebbe cambiare le carte in tavola e quindi gli umori . Sul tema è intervenuta anche Cia-Agricoltori Italiani, con il presidente Cristiano Fini che ha definito “più che un accordo, l’intesa sui dazi al 15% sembra una resa. Ora l’export del made in Italy agroalimentare verso gli Usa (7,8 miliardi di euro nel 2024) rischia grosse perdite in settori chiave come vitivinicolo, olio, pasta e riso, caseario, senza ottenere niente in cambio. Oltre all’impatto diretto, si corre il pericolo anche di un grave danno all’intero indotto agroindustriale, con pesanti ripercussioni sull’occupazione”. Dunque, per Fini, “nonostante sia stata evitata la tariffa al 30%, resta una grande preoccupazione per l’impatto reale di questi dazi, ma prima di trarre conclusioni definitive vogliamo aspettare gli sviluppi dei prossimi giorni, con la definizione ufficiale delle liste doganali”. Secondo Cia-Agricoltori, “il rischio concreto di un calo dell’export è molto alto, con danni a comparti strategici e un aumento dei costi per le imprese italiane, che tenderanno a perdere margini di profitto oppure a dover trasferire parte di questi costi sui consumatori, rischiando di ridurre la domanda nel mercato Usa.
L’effetto combinato di dazi e fluttuazioni del cambio euro-dollaro non potrà che aggravare l’impatto delle misure doganali, traducendosi in costi aggiuntivi reali per le aziende nazionali e rendendo meno competitivo il made in Italy”. Nello specifico, l’organizzazione ricorda che “per il vino, gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Grandi numeri che i dazi possono scombinare lasciando strada libera ai competitor: dal Malbec argentino allo Shiraz australiano fino al Merlot cileno”.
Passando all’olio, altra eccellenza italiana, “il dazio al 15% rischia di ridurre la competitività dell’extravergine italiano a favore di oli più economici provenienti da Paesi terzi che godono di tariffe più basse, come la Turchia, il Sud America o la Tunisia. Come conseguenza, il consumatore medio Usa sarà indotto a utilizzare altri oli, come quelli di semi tradizionali (girasole, soia, mais). Al momento, gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato extra-Ue per l’olio tricolore, con una quota di circa 100 mila tonnellate l’anno e un valore vicino a 1 miliardo, ovvero il 32% del nostro export. C’è paura anche perché questi nuovi dazi colpiranno trasversalmente tutti i principali Paesi produttori europei (Italia, Spagna, Grecia) con la conseguenza di un possibile eccesso di offerta sul mercato interno, che porterebbe a un deprezzamento generale dell’olio italiano”. L’analisi di Cia-Agricoltori si concentra anche sul settore caseario, dove “i dazi colpiranno soprattutto i formaggi Dop come la mozzarella di bufala, oltre al Pecorino romano utilizzato oltreoceano dall’industria alimentare per aromatizzare patatine in busta e altri snack. In pericolo anche pasta, riso e farine, tra i prodotti più amati dal mercato Usa, con un export annuo di circa 2 miliardi e quasi mezzo milione di tonnellate inviate oltreoceano. Anche in questo settore, secondo Cia, si rischiano potenziali ricadute occupazionali qualora i dazi non vengano mitigati con accordi o misure di sostegno”.
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