02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

Difficile governare le ultime frontiere della sharing economy, da Airbnb a Uber, fino agli home restaurant, che il Parlamento vuole normare con una legge che non piace affatto ai diretti interessati: “legge dettata dalle associazioni di categoria”

È sempre difficile prendere atto dei cambiamenti e delle novità, specie quando hanno a che fare con il tessuto economico e produttivo di un Paese. I casi di Airbnb e di Uber, esempi di come la sharing economy possa generare profitti, ma anche scontrarsi con l‘esistente, sono lì a dimostrarlo, con albergatori e tassisti, dalla Spagna all’Italia, perennemente sul piede di guerra. L’ultima frontiera della sharing economy sono gli home restaurant, arrivati in Italia nel 2014, e fino ad oggi deregolamentati, tanto che, come racconta a WineNews Michele Ruschioni, portavoce del Movimento “Home Restaurant Roma” e primo in Italia a lanciare questa formula, “fino al 2015 ci siamo mossi a spanne, chi aprendo una partita iva, chi dichiarando le entrate nella dichiarazione dei redditi di fine anno”. Adesso, però, il nuovo regolamento è arrivato in discussione al Parlamento, su una proposta di legge della Commissione Attività Produttive della Camera: prevede un tetto di 5.000 euro annui, un limite di 500 coperti e la tracciabilità totale attraverso il pagamento esclusivamente con la carta di credito, e ai ristoratori di casa piace davvero poco.
“Sembra scritto sotto dettatura delle associazioni di categoria - continua Ruschioni - impone dei limiti assurdi, come quello dei coperti, 500, che vuol dire 1,2 coperti al giorno. Per non parlare della tracciabilità, che rischia di rivelarsi un boomerang, specie in un Paese come il nostro: così non si fa che incentivare il nero, mentre al cliente non si pensa. Siamo ben disposti ad equipararci ai ristoranti classici, a fare i corsi per l’HCCP, e anche a lavorare alle stesse condizioni fiscali, ma lo Stato deve metterci nelle condizioni di lavorare. Anche perché, è assurdo parlare di concorrenza sleale ala ristorazione classica, per almeno due motivi. Il primo è che siamo un goccia nell’oceano, pesiamo per lo 0,06% del fatturato del settore. Ed il secondo - aggiunge Ruschioni - è che si tratta di due cose estremamente diverse: chi sceglie l’home restaurant sceglie un‘esperienza nuova, in cui oltre a mangiare si socializza, senza le possibilità di scelta offerte da un ristorante, ma con la certezza di passare una serata diversa”. E non convince neanche il limite, nelle abitazioni in cui si fa ristorazione, ad esercitare altre attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale: “esistono già dei regolamenti comunali - conclude il portavoce del Movimento “Home Restaurant Roma” - che da anni limitano l’attività dei bed & breakfast ad esempio, attività che si può esercitare solo nel domicilio di residenza, proprio come l’home restaurant, non si capisce davvero il senso di certe limitazioni. Di certo faremo sentire le nostre ragioni, anche nel dibattito parlamentare ovviamente, certi di trovare sponde importanti e bipartisan, perché la sharing economy riguarda tutti, e rappresenta un potenziale enorme per risollevare l‘economia delle famiglie italiane”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli