Costruire miti e fenomeni, a volte anche in maniera iperbolica rispetto alla loro reale portata, e poi, d’un tratto, iniziare a fare marcia indietro, cambiando opinione, sminuendo se non apertamente criticando quanto fino a poco prima si incensava. Un “modus operandi” tipicamente italiano, una costante nella storia del Belpaese che ora, a quanto pare, ha iniziato a riversarsi in maniera decisa sul mondo dell’enogastronomia e dell’alta cucina in particolare.
Dopo anni in cui gli chef, da cuochi e imprenditori sono diventati veri e proprie star del mondo dello spettacolo, presenza costante in tv nazionali e locali, testimonial pubblicitari di ogni tipo di prodotto come fossero attori o campioni dello sport, e in alcuni casi anche quasi filosofi o “maître à penser” dei nostri giorni e, dopo Expo, anche protagonisti di iniziative istituzionali, come successo nella “Settimana della Cucina Italiana nel mondo”, promossa dai Ministero dello Sviluppo Economico, delle Politiche Agricole, e degli Esteri, insieme all’“Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto”, per esempio.
Poi da qualche tempo, qualcosa è cambiato. Sia da parte della stampa “generalista”, per esempio con le diverse inchieste di “Report” sul tema, ma anche all’interno del settore. C’è chi, come il “Gastronauta” Davide Paolini, del “Sole 24 Ore”, ha scritto ad inizio anno un libro dal titolo eloquente, ovvero “Il crepuscolo degli chef. Gli italiani e il cibo tra bolla mediatica e crisi dei consumi”. Ma anche “Cessate il Cuoco - Una ricetta per sopravvivere alla bolla dell'alta gastronomia (che presto scoppierà)” di Andrea Cuomo, de “Il Giornale”, già a fine 2016. In tempi recenti poi, Marcello Masi, ex direttore del Tg2 e oggi conduttore delle trasmissioni Rai “Linea Verde” e “I signori del Vino”, ha detto dichiarato: “gli che ormai sono stati infilati ed utilizzati in ogni dove, ma la gente, secondo me, inizia anche un po’ a stufarsi”.
E, ancora, sul tema ha scritto, già in gennaio 2017, un’altra delle firme storiche del giornalismo enogastronomico del Belpase, Daniele Cernilli, oggi alla guida del suo “Doctor Wine”, ma co-fondatore del “Gambero Rosso”, tra le altre cose: “non so perché, ma da un po’ di tempo la grande ristorazione, quella degli chef stellati e stellari, mi annoia sempre di più. Sarà l’età, ma tendo a perdere la pazienza quando vedo dei cuochi fare più i guitti in televisione che i professionisti, abbandonando le loro cucine agli aiutanti, per un senso di protagonismo che darà pure successo mediatico ma che crea, almeno in me, molte perplessità”.
Insomma, alcuni casi di voci seguite e ascoltate nel panorama enogastronomico italiano, a cui ora, dalle pagine del “Corriere della Sera”, si è aggiunta quello di uno dei personaggi che, stando dall’altra parte della barricata, ha segnato una pagina di storia del “life style” made in Italy, con il suo Harry’s Bar di Venezia, come Arrigo Cipriani. Che, intervistato da Aldo Cazzullo nei giorni della Biennale di Venezia, in un pezzo titolato senza mezzi termini “Cipriani: “gli chef stanno rovinando la grande cucina italiana. Da me lavorano solo cuochi” (https://goo.gl/OyFPEO), tra aneddoti legati a personaggi come Emingway, Orson Welles, Liz Taylor, Onassis, Agnelli, Berlusconi, Trump, Peggy Guggenheim, De Chirico e tanti altri, interrogato sul tema degli chef, dichiara: “con Marchesi è cominciata la decadenza. La nouvelle cuisine è uno dei frutti avvelenati del 68, della rivolta contro la tradizione. Ma i veri artisti della cucina, come Paul Bocuse, sono tornati indietro, al territorio, alla materia prima. I peggiori hanno perseverato. E da noi il 68 non è mai finito, non solo in politica. Ora queste nuove star stanno rovinando la cucina italiana, la più grande di tutte”.
E ancora: “io non ho chef. Ho cuochi. Quattrocento, in 26 ristoranti nel mondo. Uno è andato in tv senza avvertirci. L’abbiamo mandato via”. E poi non risparmia parole taglienti da alcune delle star più in vista della nostra cucina, da Cracco a Cannavacciuolo, passando per Bottura, senza risparmiare i talent, come Masterchef: “tutto finto. Girato in una settimana. Con questi che piangono con le lacrime se Cracco li sgrida per una maionese sbagliata”. Non ne salva proprio nessuno, chiede Cazzullo a Cipriani. “Vissani mi è simpatico. Perché sa ridere di se stesso”, risponde mister “Harry’s Bar”.
Insomma, un’altra voce celebre, le cui parole fanno già discutere, e che si aggiunge a quella schiera, sempre meno piccola, di chi, sembra, inizi a mettere in discussione un fenomeno, quello del protagonismo dei grandi chef e della “sacralità” dell’alta cucina che, fino ad oggi, è stato sostenuto (e creato) da un sostanziale plebiscito.
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