Si sa, l’Umbria nel recente passato è arrivata alla ribalta dell’enologia del Bel Paese e non solo, soprattutto grazie alla riscoperta del Sagrantino di Montefalco, ad opera, prima fra tutte, dell’azienda Caprai. Attualmente, però, il vigneto umbro sembra dedicare un’attenzione sempre più crescente ad un altro vitigno di antica coltivazione, in questo caso a bacca bianca: il Trebbiano Spoletino.
Si tratta di una varietà tradizionalmente allevata come vite “maritata” (di solito all’acero), retaggio di una viticoltura promiscua che doveva inevitabilmente condividere il terreno con le altre colture. E quindi, sesti d’impianto enormi, viti altissime (non dimentichiamoci che la vite è, per l’appunto, una specie arborea) e, in qualche caso, ancora a piede franco.
Dopo un non piccolo spazio di tempo in cui il Trebbiano Spoletino è rimasto nell’oblio e, anzi, ha rischiato l’estinzione, nel 2011 è arrivata la denominazione e alcune aziende umbre hanno cominciato a riscoprirlo ed a vinificarlo di nuovo. Si possono fare i nomi di aziende del comprensorio di Montefalco come Bea, Poggio Turri e Tabarrini. L’ultimo caso di questa scommessa sull’antico, arriva dalla Cantina Novelli, che insieme al professor Attilio Scienza, sta per immettere sul mercato il suo Trebbiano Spoletino, addirittura ricreando la forma storica maritata ad acero. Se il progetto di un “nuovo” vigneto di questo genere a marchio Novelli non è ancora ultimato, per intanto arriva nel calice il “Traibo”, un Trebbiano Spoletino prodotto con le uve provenienti da un vecchio vigneto maritato all’acero della valle spoletana, composto da piante prefillossere, tra gli 80 e i 100 anni di età e i cui grappoli si trovano a 3 metri di altezza dal suolo.
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