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È L’EXPORT DEI VINI A TRAINARE LA RIPRESA DEL BELPAESE. LO DICE UNO STUDIO DELL’AREA RESEARCH MPS, CHE INDICA NEI PAESI EMERGENTI I MERCATI PIÙ FERTILI PER LA NOSTRA ENOLOGIA. E GLI IMPRENDITORI VENGONO SEMPRE PIÙ AIUTATI DAL SISTEMA BANCARIO

Italia
Un interessante studio della Banca Mps sulle cantine italiane

È il settore vinicolo a fare da traino alla ripresa dell’economia italiana, secondo uno studio condotto dall’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena, tanto che il 2010 enologico si è aperto all’insegna dell’ottimismo all’insegna della crescita dell’8% delle esportazioni, sia in volumi che in valore. L’indagine analizza proprio la sempre maggior propensione all’export del comparto, che gode di un forte sostegno del sistema bancario, anche in forza dell’ormai riconosciuto ruolo di ambasciatore dell’eccellenza dell’agroalimentare made in Italy nel mondo assunto dalle etichette nazionali. Settore, quello vitivinicolo, che fattura 13,5 miliardi all’anno, di cui 3,5 miliardi sono riferiti proprio all’export, per una produzione che si attesta al 17% dell’intera produzione mondiale, grazie ai suoi 47 milioni di ettolitri.

Ma è alle cifre riferite al sistema-qualità che si deve guardare: ben il 60% dei raccolti sono destinati a vini Doc, Docg e Igt. Tra questi, sempre più inquadrati secondo un’ottica di “terroir”, sono in aumento le vendite di produzioni da vitigni autoctoni, quali Negroamaro, Bianco di Custoza, Morellino di Scansano ed altri, a conferma che puntare sulla diversità territoriale - specie sui mercati esteri - paga proprio in termini di competitività, grazie alla forte connotazione culturale e all’impronta di specificità, mentre i gusti internazionali iniziano ad essere percepiti come “omologati” e “anonimi”. In questo senso, l’ampiezza dell’offerta di gusti e sapori che è capace di proporre il “federalismo enologico” italiano è un asso nella manica per il comparto vinicolo nazionale, asso da giocare giusto sui mercati mondiali, a cominciare da quelli del cosiddetto Bric (Brasile, Russia, India, Cina), dove la domanda dell’enogastronomia del Belpaese è in costante e decisa crescita: in Asia, ad esempio, di qui al 2013 si prevede una crescita dei consumi del 25%. Per affrontare al meglio questa sfida occorre però puntare sul “fare sistema”, per sempio attraverso il modello delle reti di impresa, perché aggredire i mercati più lontani in modo disorganico e improvvisato può dare frutti sul breve periodo, ma sul lungo sarebbe una Caporetto.

Segnali arrivano anche dal tema dei prezzi medi al litro. Se è vero che il valore unitario medio all’export per il vino è sceso a 1,78 euro al litro, va detto che in Paesi come la Cina, dove la domanda punta a prodotti di qualità, c’è stato invece un aumento del prezzo medio. Da notare, poi, l’andamento del Liv-ex (London International Vintage Exchange) 100 Fine Wine Index, uno dei principali benchmark del settore. L’indice, su base mensile, rappresenta l’andamento dei prezzi di 100 fra i vini più ricercati, per lo più Bordeaux, anche se sono rappresentati vini di altri regioni francesi e italiane: dopo il recupero del 2009, nel 2010 l’indice ha registrato un’accelerazione (+27,3% a giugno su dicembre 2009) e già in aprile aveva superato il precedente massimo del giugno 2008. Negli ultimi 5 anni, l’indice è cresciuto del 190% e negli ultimi dieci anni ha registrato una performance annuale media di quasi il 20%.

Tra gli aspetti che le aziende vitivinicole devono considerare, c’è ovviamente quello del fabbisogno finanziario, in particolare a sostegno dello sfasamento temporale fra le uscite per costi anticipati, soprattutto di produzione, e le entrate da vendite, un periodo che va in media dai 15 mesi ai 3 anni, a causa delle caratteristiche tipiche del particolare ciclo operativo del prodotto-vino. E il sistema creditizio si dimostra attento ai bisogni del comparto vinicolo, accompagnando gli imprenditori lungo tutta la filiera produttiva, dall’impianto del vigneto, alla costruzione della cantina fino all’ultimo anello della catena, la promozione e la commercializzazione del prodotto. Lo sta a dimostrare la crescita dei prestiti all’agricoltura, grazie anche ad un tasso di decadimento più basso: 2,10% per l’agricoltura contro il 2,58% per il totale imprese. Inoltre, più del 70% dei prestiti alle imprese agricole è a medio e a lungo termine, un livello di 15 punti percentuali superiore a quello registrato all’inizio del decennio.

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