La crescita dei consumi di vino negli Stati Uniti non è un processo incontrovertibile da dare per scontato, tutt’altro. Al di là della tendenza in atto ormai dal 1994, infatti, il panorama americano è ben più complesso, e prende necessariamente in considerazione un gran numero di variabili. Come ha fatto John Gillespie, ceo di “Wine Opinions” (www.wineopinions.com), che prevede un futuro decisamente in controtendenza rispetto a quanto scritto dalla maggior parte degli analisti e dei giornalisti del settore. Un pessimismo, quello di Gillespie, che prende le mosse dall’ultimo report del “Wine Market Council” (www.winemarketcouncil.com): in sostanza, dopo 20 anni di rapida crescita, l’industria del vino Usa potrebbe trovarsi ad un punto di svolta, ma non verso un miglioramento, a causa di due motivazioni principali, un ricambio generazionale ancora troppo lento, e fattori macroeconomici che molto hanno in comune con il 1993, l’ultimo anno in cui i consumi enoici arretrano invece di crescere.
Quelle che Gillespie, intervistato dal portale “Wine Searcher” (www.wine-searcher.com) definisce “nuvole”, sono, per prima cosa, un tasso di crescita molto più lento di 10 anni fa: se tra il 1994 ed il 2007 il tasso di crescita dei consumi si è attestato, mediamente, sul +2,5%, dal 2008 in poi è sceso sotto il 2%. E poi c’è un altro fattore da non sottovalutare: il crollo dei consumatori occasionali, perché se è vero che l’81% dei consumi sono appannaggio dei wine lover abituali, è altrettanto vero che tra gli occasionali c’è sempre stato un enorme bacino di potenziali wine lover, che si rivolgono sempre più spesso alla birra artigianale o al mondo degli spirits. Quindi, come accennato, c’è il grande tema di un cambio generazionale ancora faticoso, perché tra i millenials più giovani e quelli con qualche anno in più la differenza di reddito e di stile di vita è ancora enorme, e la generazione dei baby boomer è ancora fondamentale, nonostante l’età media stia diventando “pericolosamente” elevata. Non regge neanche più, a guardare i dati Nielsen sui consumi Usa del 2014, la storica neutralità di genere, che da sempre caratterizza i consumi enoici: i ragazzi più giovani, infatti, prediligono le birre artigianali, ed il gap con le coetanee si va allargando.
Ma per Gillespie il fattore più importante è comunque quello economico: la recessione che ha colpito gli Usa nel 2008 ha influenzato enormemente la crescita e le possibilità dei millenials. E basta un dato per capirne la portata: nel 2006 i giovani tra i 20 ed i 29 anni spendevano in media nei ristoranti il 16% in più delle generazioni più mature, oggi, il 22% in meno. Ecco perché sembra il 1993: sono milioni i giovani (gli “iGeneration”, di cui sentiremo parlare spesso nel prossimo decennio, ndr) che nei prossimi anni avranno l’età legale per bere, ma non disporranno certo delle stesse possibilità economiche delle generazioni precedenti. Le cifre Nielsen, inoltre, mostrano come la crescita maggiore nelle vendite di vino riguardi le bottiglie sopra i 12 dollari, mentre le etichette sotto i 9 dollari faticano: è probabile, così, che le cose più interessanti, quando arriveranno i ragazzi della iGeneration, le troveranno tra gli scaffali delle birre artigianali o dei sidri.
Certo, un quadro del genere non è roseo, ma neanche catastrofico. Semplicemente, ricorda da vicino quanto successo con la X Generation, che oggi rappresenta solo il 19% dei bevitori di vino, schiacciata nei redditi e nei consumi da generazioni sicuramente più fortunate e benestanti, e che nel lontano 1993 si affacciò al mercato degli alcolici con stipendi medi che non gli permettevano certo di scoprire i grandi piaceri dei vini del mondo, un po’ come oggi ...
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