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Enoturisti sempre più esigenti e insoddisfatti chiedono al mondo del vino offerte articolate all’altezza della situazione. E il turismo del vino cosa propone?
di Franco Pallini

Il fenomeno dell’enoturismo è una realtà importante, dinamica e con margini di crescita molto promettenti, come è dimostrato da svariate ricerche e sondaggi. Il sondaggio condotto recentemente da www.winenews.it ha evidenziato, però, anche un dato un po’ meno edificante: l’offerta del turismo del vino, per il 60% degli intervistati, è attualmente in Italia caratterizzata da improvvisazione, individualismo ed episodicità. E l’accoglienza nelle cantine (in termini di accessibilità, orari, servizi e cura del turista) è definita scarsa dal 27% e appena sufficiente dal 40%. Gli enotursti non sono soddisfatti e reclamano offerte più serie e soprattutto vogliono essere “coccolati” e non più spremuti fino all’ultimo centesimo, decretando, di fatto, la fine delle formule fin qui applicate a questo particolare settore del turismo.
La questione è piuttosto spinosa e richiede delle riflessioni. Prima di tutto: quale è la situazione nel tempio mondiale dell’enoturismo? Appena atterrati all’aeroporto di Bordeaux, si potrà notare che le aiuole non sono un trionfo di rose o papaveri, ma sono dei piccoli vigneti, che attraggono l’attenzione anche del più distratto fra i turisti. L’immagine con cui si presenta il Medoc è costituita da uno “zoccolo duro” di luoghi leggendari per la storia del vino: Lafite, Latour, Margaux, Mouton, Haut Brion. Castelli (spesso costruiti in epoca piuttosto recente e dalle architetture improbabili, come nel caso delle pagode di Cos d’Estournel) circondati da vigneti curati come giardini, ottima gastronomia ed un’organizzata accoglienza turistica, che è stata potenziata nel corso del tempo in modo massiccio. Eppure, qui non c’è nessuna calamita turistica della potenza di Firenze o di Roma e neppure un paesaggio della bellezza del Chianti, ma c’è il mito che si comincia a respirare fin dai piedi della scaletta di un aereo. Anche il paradiso in terra di ogni enoturista presenta, però, i suoi punti deboli: l’area bordolese ha pochi alberghi, in prevalenza di livello inferiore rispetto alle esigenze dei consumatori dei suoi migliori vini e soprattutto non vende una bottiglia in cantina. I Premier Cru Classé, e comunque la maggioranza dei Cru storici, hanno contratti con negozianti e distributori che ritirano per intero la loro produzione. Chi parte con l’intenzione di rifornirsi di favolose bottiglie direttamente dalle cantine più blasonate di Saint Emilion o Pomerol, dovrà rassegnarsi a comprarle nelle fornitissime enoteche del centro storico di Bordeaux. Maggiori possibilità di shopping si hanno nelle cantine dei produttori emergenti. I nuovi protagonisti di Bordeaux sono a volte autentici parvenus del mondo del vino, industriali belgi, pubblicitari parigini o produttori tedeschi, che hanno dato la scalata al mercato e alle classifiche di “Wine Spectator”. Il turismo del vino non rientra nella loro strategia, ma il loro rapporto con il mercato è più flessibile, e se i turisti aumentano i profitti “parce que pas”? Nel bordolese, dunque, il turismo del vino gode della forza secolare della sua storia e del suo blasone, ma si evolve, coniugando senza particolari traumi tradizione e innovazione. L’esempio forse più evidente di questo trend, lo troviamo nella zona del Graves, dove Mathilde Cathiard e Bertrand Thomas hanno sottratto una parte del loro podere alla coltivazione dei vigneti, per riservarla al primo stabilimento al mondo di vinoterapia (aperto nel ‘99), Les Sources de Caudalie, che comprende un albergo (Hotel des Sources) dotato di ogni confort e immerso nel verde dei vigneti di Chateau Smith Haut-Lafitte. Nella beauty farm è possibile sottoporsi a bagni di vinaccia in vasca di legno (il bain barrique), impacchi di merlot, maschere all’olio di vinaccioli, gommage au sauvignon e peeling al cabernet. Nel ristorante La grande vigne (con cantina da 15.000 bottiglie) e nella brasserie Table du lavoir, annessi al centro, si possono gustare ottimi pranzi e cene, controllati “con gusto” nell’apporto calorico. Possono annoverarsi tra i fedeli clienti delle straordinarie "terme" di Bordeaux, l’ex premier d'oltralpe Alain Juppé, Isabelle Adjani, Victoria Abril, Carla Bruni, Monica Bellucci, Julia Roberts, Catherine Denueve, Jennifer Lopez, Madonna, Catherina-Zeta Jones, Sigourney Weawer. In Borgogna, la situazione è addirittura migliore. L’offerta turistica è totalmente integrata e un calice di vino rosso è presente in tutti i depliants turistici. Il messaggio è forte e chiarissimo: “l’arte, la spiritualità, il vino e la gastronomia, la storia dei paesaggi”. Tradotto, in fatti, significa la gita in battello tra le chiese gotiche di Auxerre, il corso sulla cucina del Duca Filippo l’Ardito, grotte preistoriche di Azè e cantine sotto castelli degni del principe azzurro. Il caratttere culturale dell’approccio riguarda direttamente il vino: tutti i depliants associano la visita al territorio con la comprensione delle denominazioni d’origine che vi sono prodotte, fino ad esemplificare la piramide della classificazioine dei Grands Crus e delle Appellations Regionales. L’organizzazione, la presentazione e soprattutto l’apertura al pubblico delle cantine, sono da manuale. La Guide Des Caves contiene circa 220 aziende aperte pressochè tutto l’anno, nei giorni festivi e persino a Natale, Capodanno e Pasqua. E su questo aspetto, la differenza con quanto accade in Italia è attualmente molto forte.
Non solo, nel nostro Paese sono rare le proposte che pongono al centro dell’attenzione la soddisfazione del cliente e l’acquisto di “sensazioni”, piuttosto che la vendita di semplici beni e servizi. Manca ancora per il turismo del vino di casa nostra una logica di sistema e una vera e propria offerta di territorio. I nostri “distretti” del vino non sembrano ancora in grado di offrire un pacchetto omogeneo, dove vino, cultura, paesaggio, gastronomia, artigianato, strutture ricettive e intrattenimenti siano in grado di rispecchiare la stessa civiltà. Spesso la concorrenza interna non agevola la necessaria sinergia fra aziende, operatori turistici ed istituzioni, e le stesse aziende non sembrano interessate ad investire sulla qualità del servizio e dell’ospitalità, limitandosi alla vendita di qualche bottiglia di vino. A questo si aggiunge una scarsa comunicazione, episodica e legata ad eventi stagionali, quando la promozione di un territorio, richiede invece un impegno a tutto campo per determinare ricadute omogenee e durature nel tempo.
Sempre secondo il sondaggio www.winenews.it, tutti gli enoturisti interpellati, al di là del budget a disposizione da spendere per un periodo di soggiorno in uno dei distretti vitivinicoli nazionali (anche se, l’enoturista medio possiede, di norma, un livello socio-economico medio/alto), hanno espresso un’indicazione comune: l’intero comparto del turismo del vino, così come si è proposto fino adesso, non riesce più a soddisfare completamente le aspettative diversificate di una clientela sempre più competente. Il felice motto “vedi cosa bevi”, coniato dal Movimento Turismo del Vino per “Cantine Aperte”, non basta più ai sempre più numerosi enoturisti che cercano ristoranti con stella Michelin e cantine dove la sala di degustazione è un salotto con mobili d’antiquariato. Si sta, insomma, affacciando anche da noi l’esigenza di realizzare un modo diverso di fare turismo del vino, più ricco di offerte e capace di regalare piaceri a tutto campo.
Ed ecco, allora, da un lato la “cantina monumento” e dall’altro il “paradiso del benessere”. La “ cantina monumento” è quel luogo dove la massima espressione della tecnologia enologica affianca la ricerca del bello, affidata al talento dei più famosi architetti. La costruzione di qualcosa di bello e prestigioso è sinonimo immediato di buon gusto ed è, soprattutto, vendibile come tale. La cantina non è più il luogo della mera produzione, ma diventa elemento centrale per accrescere il prestigio del produttore e quindi del vino, trasformandosi in qualcosa già di per sé attraente e visitabile. D’altra parte, poi, in un settore avanzato (e ricco) come quello del vino, ormai di sola origine agricola, s’impongono scelte sempre più “marketing oriented” e la componente estetica è parte essenziale del valore aggiunto del prodotto. Gli esempi di questo fenomeno non mancano. Renzo Piano sta realizzando la cantina della joint-venture tra l’editore-finanziere Paolo Panerai e il barone Rothschild a Gavorrano (Grosseto); grande è l’attesa per il lavoro di Peter Zumthor, commissionato da Oliviero Toscani a Casale Marittimo, nel pisano; si preannuncia innovativo anche il progetto di Agnese Mazzei per l’azienda di famiglia a Fonterutoli, nel bel mezzo del Chianti Classico; mentre sono già realtà la cantina di Badia a Coltibuono, sempre nel Chianti Classico (progettata da Natalie Grenon e Piero Sartogo), la cantina di Alberto Cecchetto per Mezzocorona (Trento), la cantina Alois Lageder, in Alto Adige, realizzata da Abram & Schnabl e quella disegnata da Gianni Arnaudo per Terre da vino in Barolo. Infine, la cantina di Petra, struttura “estrema”, disegnata dall’architetto svizzero Mario Botta, nella tenuta di Suvereto (Livorno) di proprietà di Vittorio Moretti.
Il “paradiso del benessere” privilegia un’attenzione di livello superiore verso le esigenze sempre più articolate e sofisticate degli enoturisti. Lo potremmo descrivere come quell’angolo ritirato dal mondo dove rifugiarsi e trovare molto comfort e dove ricreare il romanticismo di un'epoca in cui il viaggio richiedeva tempo e fermarsi diventava un'occasione per scoprire luoghi ed incontrare gente diversa. Per esempio, Piero Antinori (sebbene a titolo personale, assieme ad una cordata di imprenditori toscani e di istituzioni finanziarie) ha investito sul “Gran Hotel Tombolo” a Castagneto Carducci (Livorno): 130 camere (di cui 20 suite), 4 piscine per la talassoterapia in una grotta artificiale, 2 piscine scoperte ed un centro benessere. La logica è semplice: attirare e rendere più appetibile un comprensorio conosciuto soprattutto per le grandi etichette (Sassicaia, Ornellaia, Masseto, Guado al Tasso …). Di questa nuova tendenza fa parte anche l’offerta dell’altra azienda acquistata da Vittorio Moretti, sempre in Maremma, ma più a sud, a Castiglione della Pescaia (Grosseto), battezzata “L’Andana - Tenuta La Badiola”, che si sviluppa sui 500 ettari di quella che un tempo è stata la tenuta di caccia del Granduca di Lorena, Leopoldo II. L’albergo, denominato “L’Andana”, partirà con nove camere collocate nella Villa. Nel breve periodo saranno attive anche le altre strutture: altre 24 camere nella vicina Fattoria, un ristorante toscano ed uno “gourmand”, un campo da golf e un’esclusiva produzione di vino e olio. Questa nuova realizzazione si affianca al relais & chateaux “L’Albereta” in Franciacorta, dove lo stesso Vittorio Moretti ospita la cucina di Gualtiero Marchesi e il centro benessere di Henri Chenot. Si tratta di un progetto ambizioso che vede l’imprenditore bresciano (a capo di “Terra Moretti”, società specializzata nel settore “arte di vivere”, ovvero nello sviluppo e nella diffusione di marchi di altagamma con il vino in “pole position”), in una joint-venture con Martino De Rosa (a capo della holding Wiish, che opera nel settore della produzione e dei servizi vitivinicoli e turistico/ricettivi) e la partecipazione di Alain Ducasse, lo chef-manager più famoso e di gran lunga più stellato della storia della ristorazione.

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