È stato uno dei “padri” della moderna enologia e il primo enologo-manager del vino italiano, una figura nata grazie a lui, tra i personaggi più in vista sul mercato vitivinicolo italiano ed internazionale, Cavaliere del Lavoro nominato nel 1985 dal Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini. Più di ogni altro ha operato per il traghettamento del vino italiano da bevanda ordinaria, senz’anima e spesso anche taroccata, come avveniva sovente nelle decadi Cinquanta, Sessanta e Settanta del Novecento, alla massima espressione di territorialità generata grazie al riconoscimento ed all’attivazione delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche. Operò ovunque. A forgiare gli enotecnici e formare gli enologi italiani e mondiali, in Assoenologi da lui guidata per molto tempo, e primo italiano alla guida dell’Associazione Mondiale degli Enologi. Al vertice delle migliori imprese italiane con Uiv-Unione Italiana Vini e nel più importante osservatorio del vino al mondo, l’Office International de la Vigne du Vin (Oiv). Al Comitato Nazionale Vini al Ministero dell’Agricoltura, al quale giungevano le richieste di riconoscimento delle Do ed Igt e lui suggeriva disciplinari di produzione accurati ed allo stesso tempo snelli. A progettare cantine moderne, di estrema praticità, perfettamente attrezzate, con la prima società di engineering e consulenza enologica. A progettare, negli anni Settanta ed Ottanta del Novecento, l’impero Banfi, con la famiglia prima italiana, e poi americana, Mariani. E ad iniziare il successo del Brunello di Montalcino avviandone la costruzione della domanda dal mercato Usa agli scaffali di 70-80 Paesi del mondo. Ad anticipare, sempre con Castello Banfi, l’attrazione del turismo estero, per il quale, oggi, è una delle cantine più belle del mondo da visitare. Un antesignano, un autentico maestro del mondo del vino. Se ci fosse una voce nell’Enciclopedia Treccani, e potrebbe averla, per Ezio Rivella, scomparso nel gennaio 2024, forse, sarebbe questa immaginata, da WineNews, nell’omaggio “Ezio Rivella, Maestro di Futuro - Enologia, Mercato, Organizzazione”, voluto, ieri a Montalcino, da Banfi, azienda leader del Brunello e del vino italiano, e dalla famiglia Mariani.
Perché, ha sottolineato Cristina Mariani-May, alla guida di Banfi, “Ezio Rivella ha davvero dato la vita per questo territorio e per il vino italiano. Senza di lui non saremmo dove siamo oggi. Perché guardava sempre avanti, e grazie anche alla sua visione e continuando a lavorare insieme, davanti abbiamo un futuro brillante”. “Ripeteva sempre un mantra: costruire il successo di un’azienda è difficilissimo, mentre è facilissimo perderlo, quindi va alimentato, perché era anche un uomo attentissimo alla comunicazione - ha ricordato Rodolfo Maralli, presidente di Banfi e della Fondazione Banfi - il Brunello oggi è uno dei vini più importanti al mondo, e sarà sempre così se sapremo alimentare questa fiamma”.
Tra le figure che hanno contribuito al successo dei territori-simbolo del vino italiano nel mondo, nella tavola rotonda, moderata dal vice direttore del “Corriere della Sera” Luciano Ferraro, la sua figura è stata ricordata come un “capitano d’impresa”, ovvero colui che ha una grande e chiara visione imprenditoriale del futuro della sua impresa, ma anche per ogni territorio in cui opera. Rivella ce l’aveva quando, dal niente, con l’epopea di Banfi ha creato, con i Mariani, l’azienda ideale, che ha aperto i mercati del mondo al Brunello e non solo. “Montalcino, dove, con lui, a guidare l’evoluzione del territorio, guardando più in là degli altri, sono stati altri due giganti del vino italiano - ha detto Alessandro Regoli, direttore WineNews - la famiglia Biondi Santi, con la Tenuta Greppo, e Francesca Colombini Cinelli, con la Fattoria dei Barbi. Fondamentale è stato il fatto che il Cavaliere, il Dottore e la Signora Francesca, che avevano visioni diverse nel condurre le loro aziende e produrre i loro vini, la pensavano uguale sulla cosa più importante: agire per il bene del territorio. A volte, il merito di questa sinergia, è stata anche la capacità della politica con la P maiuscola di farli dialogare e convivere nella loro diversità. Che è ricchezza, perché, citando Oskar Pfister, pastore protestante e psicoanalista svizzero amico di Freud, “un avversario intelligente giova più di mille seguaci incapaci”. Così, negli Anni Ottanta del Novecento, è stato progettato forse il primo “distretto” del vino dell’era moderna, un piccolo “miracolo economico” italiano testimoniato dalla rivalutazione record del +4.500% di un ettaro di Brunello in 50 anni. Ma, ovviamente, i progetti e le visioni cambiamo e devono cambiare continuamente” (come Rivella, spiegava di suo pugno, in una memoria su WineNews).
Esperto di comunicazione e impresa, docente dell’Università La Sapienza di Roma e direttore di Sanguis Jovis, l’Alta Scuola del Sangiovese della Fondazione Banfi, per Alberto Mattiacci, “ha insegnato che bisogna essere avanti con il pensiero rispetto alla realtà in cui si vive. È difficile incasellarlo in un unico ruolo, come tutti i grandi. Nel corso della sua carriera di manager è stato avanti moltissimo rispetto ai suoi tempi. Diceva che aveva studiato come enologo ma lui si considerava tutt’altro. L’insegnamento è che bisogna avere una solida base culturale e tecnica di partenza, ma dev’essere solo una base. Nei tempi che abbiamo di fronte, i progetti ambiziosi devono essere tante cose insieme. La parola che associo a Rivella è “rigore”. Nel suo lavoro di tecnico era un uomo rigoroso, nella sua capacità di visione aveva capito che il prodotto era importante, ma sarebbe diventato sempre meno importante nel conquistare i mercati, a differenza della comunicazione, che avrebbe avuto un ruolo sempre più centrale, e che doveva essere fatta costantemente tutto l’anno e rafforzata in particolari occasioni. Portare una visione della comunicazione rigorosa fu veramente un grande cambiamento”. “Aveva una grande capacità visionaria, sapeva guardare lontano e trasportalo nella realtà - secondo Attilio Scienza, docente di Viticoltura all’Università di Milano, presidente di Sanguis Jovis e tra i massimi esperti di vino al mondo - sapeva dire cosa sarebbe successo nel giro di cinque anni sul mercato americano e asiatico, ma aveva gli strumenti per dire: “dobbiamo partire adesso con qualcosa”. Questa era la sua grande forza. È stata una grande lezione, perché ho capito che serve la teoria, ma serva anche molta pratica”. Un’altra sua caratteristica necessaria per affrontare il domani, per il Master of Wine Gabriele Gorelli, “è quella di essere uomini di relazione e in questo senso serve la multidisciplinarietà che ti fa avere argomenti di fronte a persone che non sono del tuo ambito. Sarebbe stato troppo facile avere competenze meramente verticali, cioè conoscere il vino ma non avere grandi capacità di unire i puntini frequentando altre persone. Ha dato veramente un esempio e ha stabilito di far crescere e nascere un’azienda per farla essere globale”.
Montalcino “probabilmente è andato in una direzione che non era esattamente quella immaginata da Rivella che aveva idee abbastanza nette e diverse da quello che poi è stato lo sviluppo degli ultimi vent’anni, per cui avrebbe impostato le cose in maniera diversa. Quando ho conosciuto Rivella, Banfi era già un’azienda collaudata e si vedeva una Montalcino che stava crescendo in maniera rapida e forte: la crescita di un territorio di questo tipo è più unica che rara. L’arrivo di Banfi stava dando dei risultati positivi, ed a questo si è sommata la spinta di produttori locali, la mia generazione, con l’idea di portare il Sangiovese ai massimi livelli nel mondo. Il traino di Banfi è stato determinante per la presenza sul mercato. Allo stesso modo altre 25 aziende hanno compreso bene qual era il percorso e hanno dato un’ulteriore spinta”, secondo Giancarlo Pacenti, alla guida della cantina di Brunello Siro Pacenti. “Se siamo dove siamo, una parte del merito è anche suo - ha concluso Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello - non sempre i grandi personaggi vengono capiti in patria, ma i fatti gli hanno dato ragione, e tutti, oggi, vorrebbero nelle aziende un grande manager come lui”.
“Ezio Rivella - ha detto, infine, Elizabeth Koenig, vicepresidente Banfi - aveva il dono della sintesi, ed era un uomo con una comunicazione sempre diretta e sostenuta. Ci ha lasciato tutta una serie di massime, come “patti chiari e amicizia lunga”. Ma ci ha detto anche che l’importante è esagerare, e che la vita è come un teatro e lui sapeva stare sul palcoscenico, senza suggeritore, interpretando le parole dei mezzadri e dei marchesi, e dialogando con il mondo intero pur non parlando inglese, ma benissimo il francese perché aveva molti amici nel mondo del vino francese. Un palcoscenico che era una scuola di vita e sul quale faceva salire anche noi. Il suo sipario è calato, ma, come avrebbe detto, “the show must go on”. L’insegnamento che ci ha trasmesso è dare ai giovani le opportunità che ha dato a noi”.
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