Con l’avvicinarsi delle feste il numero dei messaggi legati al cibo, al recupero della tradizione e del gusto alimentare si fa sempre più massiccio: la fantasia in cucina diviene l’arma più utilizzata e il ritorno all’antico si trasforma in pura fantasia. Le antiche ricette si riaffermano sulle tavole degli italiani in tutto il loro splendore, i riflettori dei media si accendono sui temi quali recupero del gusto, rispetto della tradizione culinaria, tipicità, sapori genuini ... ed il vero protagonista della festa diviene lui, il cibo. Altro non si fa che parlare di pranzi e cenoni, menù e ricettari, dolci e salati, arrosti e fritti, cotti e crudi e chi più fantasia ha, più ne metta! Il pensiero più importante diviene quello di mangiare bene, secondo la tradizione, come facevano papà e nonno ai tempi dei tempi nelle loro famiglie durante i pranzi più solenni dell’anno.
Una lotta contro il tempo spesa fra supermercati e negozi al dettaglio, alla ricerca di articoli introvabili e di alimenti freschi e più possibile naturali. Scatta la voglia di essere tradizionali, di presentare ad amici e parenti le vere ricette di casa. Il desiderio per il recupero dell’antico diventa quasi ossessione che rende il tutto una vera e propria farsa dantesca. La creatività e l’originalità trasformano l’arte del mangiare bene e la fantasia diviene, appunto, il solo elemento del successo in cucina. Fantasia sì, ma con moderazione, una dose sufficiente per far rispettare il buon gusto della tavola italiana. Se accendiamo le televisione, in questi periodi prefestivi, vediamo alternarsi un continuum di messaggi legati al cibo, dalla pubblicità dei dolci tipici alle promozioni della grande distribuzione, pronta ad invogliarci ad acquistare spesso anche l’insolito, pur di farci fare la spesa. E ancora le trasmissioni radiofoniche, a partire dalle prime ore del mattino, che ci inondano come ogni anno di questi tempi, dei pareri di dietologi, nutrizionisti e dei cosiddetti testimonial, i very important personalities, appartenenti ad ogni mondo del piccolo e grande schermo con le loro ricette preferite. Proliferano i siti internet, si aprono decine di gruppi di discussione e all’interno delle Chat non si fa altro che chiedere: ”Che cosa mangerai a Natale?”. Nella lista degli appuntamenti delle prossime feste natalizie, fra i presepi viventi e i concerti di Natale, iniziano a comparire sagre paesane, popolane, momenti in cui si unisce il sacro della vera tradizione culinaria al profano dell’abbuffata e dell’ingordigia. Sembra che l’intero universo sensoriale si risvegli tutto all’improvviso, solo adesso, momento di festa, allegria, vacanza, senza tener conto del fatto che ogni stagione dell’anno raccoglie in se i sapori e i gusti della vera alimentazione. Il gusto per la genuinità e la tradizione dovrebbe essere presente sempre, ma con l’avvicinarsi della feste tutto sembra trasformarsi e la voglia del cibo sano appare come il requisito fondamentale. Questa tendenza, sempre più forte negli ultimi anni, non porta ad un recupero vero della tradizione culinaria, ma anzi, ad una vera e propria manipolazione della cucina antica, trasformata in spettacolo senza una reale personalità, dove si fa a gara a chi prepara la ricetta più particolare e sensazionale, pronta per essere imitata dagli altri. Piatti trasformati, alimenti tolti e aggiunti, sapori nuovi, pietanze mai assaggiate divengono adesso i soggetti della tavola quotidiana.
Si sviluppa perciò il bisogno di intendere il vero significato del recupero della tradizione del mangia sano & bevi bene, rispolverando quei valori che in cucina rappresentano l’elemento principe: semplicità e genuinità. E’ arrivato il momento di dire basta ai falsi messaggi, alla troppa fantasia, sempre pronta a cambiare i gusti e a far perdere i tratti distintivi dei cibi e la possibilità del loro riconoscimento da parte dei commensali. Stop alla cucina sotto i riflettori, ben venga la cucina che non fa parlar di se, che non ha bisogno della televisione per esistere; stop alla spettacolarizzazione del cibo, ai troppi programmi di cucina in TV, alle troppe riviste di cucina, portatrici di falsi gusti e di ricette mai veritiere; stop alla globalizzazione del gusto nei piatti, benvenute le differenze, la cucina di casa, di quartiere, di paese, di provincia. E’ arrivato il momento di rifiutare tutti quei sapori insapore, denaturalizzati, portati sul mercato grazie alle tecniche di congelazione: i pomodori in pieno inverno, i funghi freschi ad agosto, la frutta fresca a Natale. Stop con i soliti appuntamenti sempre più ricorrenti lungo tutte le aree del Belpaese, ogni volta pronti a farsi portavoce di tradizione e cultura, ma quasi sempre privi di semplicità e naturalità: fiere, mercatini, sagre paesane, convegni enogastronomici, serate a tema, manifestazioni del gusto, etc. Il recupero dell’originale non deve farsi presente solamente durante qualche periodo dell’anno, in prossimità di festeggiamenti o eventi speciali, ma deve rappresentare invece un continuum sempre presente, in ogni periodo e stagione. L’esaltazione del gusto non è infatti tipica solamente di qualche mese particolare, ma dell’intero percorso naturale che accompagna l’uomo dai momenti più freddi, con l’utilizzo di cibi e bevande ipercaloriche, ai mesi più caldi, mediante alimenti leggeri, a breve consumazione e perlopiù rinfrescanti, passando attraverso i periodi intermedi, come la primavera e l’autunno, con cibi caldi ma non eccessivamente pesanti e ricchi di grassi.
Se è altrettanto giusto rispettare l’immaginario collettivo, quello cioè che ci dice che le feste sono spesso luogo di incontro dove il mangiare rappresenta lo strumento comunicativo e mezzo di scambio relazionale, poniamoci l’obiettivo di rispettare in concreto la tradizione culinaria. Iniziamo ad intendere il cibo non solo come bene materiale ma anche strumento di comunione e condivisione. Se imparassimo ad applicarlo a culture, credenze e abitudini così come facciamo con i sapori, sarebbe più facile riscoprire il vero senso del buon gusto e della tradizione gastronomica del nostro paese.
Achille Prostamo
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