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RIPARTENZA

Fipe: dalle macerie della pandemia la ristorazione ha perso 30 miliardi di euro

“Rapporto Ristorazione 2020”: 22.000 chiusure, fiducia ai minimi storici, ma anche la voglia di tornare a sperare tra fornelli e tavoli
ENRICO LINO STOPPANI, FIPE CONFCOMMERCIO, GIANCARLO GIORGETTI, RAPPORTO RISTORAZIONE, RISTORAZIONE, Non Solo Vino
La ristorazione fa i conti di un 2020 drammatico

Il nesso, più casuale che diretto, tra contagi e aperture della ristorazione, i dati, drammatici, che raccontano la crisi di un settore che il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha definito la trincea nella guerra alla pandemia, il crollo dei consumi, i limiti e l’inadeguatezza dei ristori, il mondo che cambia e la speranza che, sulla scorta della road map tracciata dal Consiglio dei Ministri di ieri e dal Decreto Legge che segna il vero nuovo inizio per tutta l’Italia, torna a fare capolino tra tavoli e fornelli: ecco gli atout emersi dal “Rapporto Ristorazione 2020”, curato da Fipe/Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, presentato da Luciano Sbraga, direttore Centro Studi Fipe/Confcommercio, cui hanno partecipato il presidente Fipe Lino Stoppani e il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti.

“Per un anno e qualche mese ci siamo mossi in base all’andamento dei contagi: ad ogni calo corrispondevano riaperture e, viceversa, ad ogni picco dei contagi corrispondevano chiusure, facendo passare il messaggio che i nostri locali fossero il principale luogo di contagio. Dal 26 aprile il tasso di positività è passato dal 5,8% al 2,8%: il rapporto tra aperture e contagi è un rapporto causa/effetto che non esiste. Siamo stati usati come le sirene in tempo di guerra, al pericolo si è risposto chiudendo bar e ristoranti. Questi dati sono la fine di un luogo comune, ma fino all’1 giugno persistono restrizioni importanti”, dice Luciano Sbraga, direttore Centro Studi Fipe/Confcommercio snocciolando i dati del rapporto.

“In un anno e due mesi abbiamo vissuto 67 giorni di lockdown, poi le riaperture dal 18 di maggio, quindi lo stillicidio delle mezze misure. Siamo stati 192 giorni a dover fare i conti con le aperture e le chiusure dettate dal sistema dei colori, e in alcune Regioni ci sono state qualcosa come 19 decisioni diverse in questo lasso di tempo”, continua Sbraga. “Oggi, i principali problemi individuati dai ristoratori sono il parziale avvio delle attività, la mancanza di liquidità e l’organizzazione del lavoro. Per quanto riguarda l’impatto della crisi, nel 2020 alloggio e ristorazione hanno perso 514.000 posti di lavoro, 243.000 nella sola ristorazione, la metà dei quali a tempo indeterminato. Con il blocco dei licenziamenti in molti si sono dimessi, per avere il Tfr e cercare altro, anche a causa della Cig pagata in ritardo e in maniera insufficiente. Si parla principalmente di donne e giovani, serve una vertenza”, sottolinea il direttore Centro Studi Fipe/Confcommercio

Passando all’impatto sui consumi, “in tutto sono andati persi 130 miliardi di euro, di cui 31 miliardi di euro nella ristorazione, facendo crollare la spesa pro capite a 920 euro, come nel 1994. Numeri che si sono abbattuti sul tessuto sociale delle imprese, portando a 22.000 chiusure, che alla fine è quasi un effetto marginale, perché il brutto arriverà nei prossimi mesi, quando verranno meno ristori e Cig. Inoltre, il 98% delle imprese ha perso fatturato, nel 60% di più della metà rispetto al 2019. Non va bene neanche sul fronte dei ristori: il 23,7% non ha preso nulla, perché i meccanismi li hanno tagliati fuori. Sono gli esodati del settore, tra babele dei codici Ateco, chiusure, nuove partite Iva, e questa è una cosa che andrà sanata. Le imprese dicono che non possono vivere con in ristori, l’81,5% ha preso il 10% del fatturato perso. Il secondo lockdown è stato peggiore del primo, sia economicamente che psicologicamente. Siamo andati avanti per sei mesi facendo i conti con misure sempre più restrittive, e alla fine non si cena al ristorante da novembre, un bel problema considerando che la sera si fa il 70% dei fatturati di un ristorante”, continua Luciano Sbraga.

I consumi, così, hanno fotografato questo nuovo scenario, con le occasioni serali che a luglio 2020 rappresentavano il 33% del totale dei consumi, e a febbraio 2021 sono passate al 13%. Il delivery, al contrario, è passato dal 3% al 13% delle occasioni di consumo, mentre i piccoli centri beneficiano dello smart working, e passano dal 18% al 26% delle occasioni di consumo. In questo quadro, le aziende sono state intelligenti e resilienti, hanno dato sempre le risposte adeguate, cimentandosi su asporto e delivery (il 33% per la prima volta), ma la speranza c’è, l’85% delle imprese ha fiducia. La metà dei ristoranti sanno che non tornerà tutto come prima, per questo serve ancora il supporto del pubblico, perché le misure sanitarie, anche a livello psicologico, resteranno, e il turismo straniero non tornerà velocemente. Il futuro, secondo i ristoratori, vede un ritorno alla normalità non prima del 2022 - conclude Luciano Sbraga, direttore Centro Studi Fipe/Confcommercio - ma i livelli pre Covid torneranno non prima di 3-4 anni. Pandemia e misure restrittive hanno danneggiato le imprese della ristorazione più di qualunque altra”.

A restituire speranza, o perlomeno qualche certezza in più, sono le decisioni prese ieri dal Consiglio dei Ministri (qui, dopo le conclusioni della cabina di regia voluta dal Governo). “Il nostro settore è in difficoltà, quello di ieri è un passo avanti, ma ci sono ancora delle criticità importanti, pensiamo alle discoteche”, ricorda Lino Enrico Stoppani, Presidente Fipe-Confcommercio. “Oggi presentiamo la decima edizione del rapporto, in un giorno simbolico: un anno fa finiva il lockdown. Ma non era la fine dell’incubo, anzi. Oggi vediamo degli spiragli, ma speravamo in maggiore coraggio da parte del Governo. Odissea è il termine giusto, la situazione della ristorazione, dopo un anno, fotografa un settore devastato, nei numeri e in un futuro pieno di incertezza, ma anche con qualche speranza”.

Rimane, però, “molta insoddisfazione rispetto alle decisioni prese nei mesi scorsi. Ci rendiamo conto della necessità del sacrificio, consapevoli della debolezza del bilancio pubblico, e sappiamo anche che mai avremmo potuto pretendere un indennizzo totale. Il sacrificio sociale chiesto al settore, però, non è stato accompagnato da misure sufficienti ad evitare la chiusura di 22.000 imprese ed alla perdita di lavoro di oltre 350.000 persone. E poi ci sono i danni che vanno al di là dell’economia, e che riguardano la socialità, la coesione sociale, la fragilità sociale che deriva dalla perdita del lavoro, che a sua volta vuol dire perdita di tante professionalità”, continua Lino Enrico Stoppani. “A 22.000 imprese che chiudono corrispondono altrettanti drammi. Per non parlare delle tante imprese passate in mano alla criminalità organizzata. Un settore come il nostro non avrà mai il problema dei capitali stranieri, è troppo frammentato per assistere ad una vera scalata, ma quello delle infiltrazioni malavitose sì che è un problema, economico, legale e sociale”.

Alle spalle del settore, riprende il presidente di Fipe-Confcommercio, “un 2020 in cui abbiamo gestito l’emergenza su tre fronti: politico, mediatico, perché i media hanno dato volto e voce alle nostre istanze, e con i nostri associati, che hanno capito l’importanza delle associazioni di categoria, che non nascono nell’emergenza, ma nell’emergenza possono dare il meglio. La ristorazione è un’eccellenza, confidiamo che dalla crisi possano nascere delle risposte: ci vogliono sostegni, indennizzi a fondo perduto, sgravi. E poi servono progetti, che favoriscano la ripartenza e l’innovazione, lavorando anche sulla domanda, provando ad esempio a ridurre l’Iva”. Al di là di questo, conclude Lino Enrico Stoppani, “ci vogliono politiche governative sul cibo, che facciano ordine in un settore che vive di una storica asimmetria nelle regole. E ancora, servono investimenti in formazione, ma ci vogliono anche visione da parte di chi governa ed intraprendenza sul fronte degli imprenditori, per accompagnare innanzitutto una ripartenza in sicurezza. C’è gran voglia di convivialità, asset positivo per il nostro settore. Il pubblico deve prendere esempio dalla Francia, che ha una visione ben precisa del settore, che sostiene con politiche ad hoc”.

A fare le veci del Governo, più volte chiamato in causa, Giancarlo Giorgetti, Ministro per lo Sviluppo Economico, che ha voluto ribadire quanto “l’interlocuzione con le associazioni sia fondamentale, specie in un periodo in cui la situazione di esasperazione era difficilmente mediabile rispetto al soggetto politico. Questo è un bollettino di guerra dalla trincea di prima linea contro il virus e la pandemia. Tante imprese sono cadute al fronte, molte altre sono ferite e vanno messe in condizione di tornare in attività. Metto sempre l’imprenditore al centro, più che l’impresa, perché penso a colui che mette la propria persona in un’attività, misurandosi tutti i giorni con la capacità di stare sul mercato. Sono gli eroi moderni, e questa occasione ha messo in evidenza la diversità tra chi vive e lavora in settori protetti e chi no”.

Per questo, continua il Ministro per lo Sviluppo Economico, “dobbiamo rimettere l’imprenditore al centro, facendo capire ai giovani che è l’avventura imprenditoriale che fa crescere la società e crea ricchezza, non dimentichiamolo mai. Questa volta, erario e burocrazia sono dietro ad un altro nemico, la pandemia, che ha colpito in prima battuta i pubblici esercizi. Il Governo ha dato risposte figlie della difficoltà di capire il momento e la situazione, è stato molto complicato per tutti, specie per chi ha dovuto prendere decisioni. Le misure si sono sovrapposte, creando confusione. Adesso proviamo a dare un quadro possibile di certezze: le nostre decisioni devono permettere di dare una prospettiva certa per le realtà imprenditoriali. Questo è il criterio che ha ispirato le norme decise da questo Governo, in cui ognuno ha legittimamente difeso le proprie posizioni, ma provando a restituire una prospettiva di certezza, definita alle misure decise ieri”, spiega Giancarlo Giorgetti.

“Mi rendo conto che ci siano ancora settori in grave difficoltà, come le discoteche, per le quali non c’è neanche una data. Stiamo pensando al green pass, e forse è l’unica via rispetto ad una situazione che rischia di essere devastante per gli operatori del comparto. Per quanto riguarda i sostegni, si ripercorrerà la strada dell’ultimo decreto legge, con una variante sui primi 4 mesi del 2021 rispetto al 2020, e poi ci sarà una misura per coprire anche gli esodati. Non è possibile rimanere strettamente legati alla riduzione del fatturato del 30%: noi vogliamo un decreto che riguardi tutti, ampliando la platea anche a chi non ha ricevuto i sostegni precedenti”, continua il Ministro per lo Sviluppo Economico.

“E non basta, perciò ho chiesto un fondo anche per chi resta chiuso per decreto: per loro ci sarà un fondo gestito da Mise e Mef che cercherà di identificare i soggetti (sale da ballo, sale da gioco) che non hanno possibilità di lavorare da mesi per intervenire con un forfait. È chiaro che oltre a queste misure, di cura dei feriti, bisogna immaginare come questo settore poi potrebbe essere accompagnato nel post pandemia. Dobbiamo ragionare, le ricette però le sappiamo: digitale, crescita dimensionale, formazione”, sintetizza nel suo intervento Giancarlo Giorgetti.

Che, poi, conclude con un’analisi che esula dai soli aspetti economici. “Secondo me, da un punto di vista sociologico e persino filosofico, prima di tutto il pubblico esercizio è qualcosa che ha una dimensione sì economica, ma anche sociale. Non riesco ad immaginare città e paesi senza i luoghi di socialità e aggregazione come bar e ristoranti. L’idea che sia tutto da asporto non può essere il futuro, non possiamo passare le serate sul divano a farci portare il cibo a casa, non è il mondo ideale. La socialità va difesa, quasi a livello ideologico, oltre che per interesse economico. La seconda cosa è che la ristorazione è un’eccellenza italiana: tanti che vengono ad investire qui, lo fanno anche perché da noi si vive bene, si mangia bene e si beve bene, e non è una cosa da sottovalutare. La filiera agroalimentare, in questo senso si connette con il settore industriale. Dobbiamo difendere le nostre specificità fuori dal territorio nazionale, il made in Italy va tutelato e coltivato anche fuori dai confini. In conclusione, la guerra sta forse finendo, e dopo la guerra si risorge, in un clima che ci riporta gioia e felicità. Questo settore è quello che ha pagato di più, ma sarà anche quello che, nel modo giusto e consapevole, sarà l’interprete di questa ritrovata vitalità e socialità che tornerà quando avremo superato il virus”, conclude il Ministro per lo Sviluppo Economico.

 

Focus - I dati della ristorazione secondo Fipe/Confcommercio

Occupazione, nessuno peggio dei Pubblici esercizi

Secondo i dati Istat, nel 2020 in Italia si sono persi 2,5 milioni di posti di lavoro misurati in unità standard di lavoro, di cui 1,9 milioni nei servizi. Il più colpito è il settore della ricettività e della ristorazione che ha visto bruciare in un solo anno 514.000 unità, più del doppio dei 245.000 creati tra il 2013 e il 2019. Un dato allarmante che dimostra però anche l’eccezionale dinamicità pre-Covid del fuoricasa italiano.

Si apre di meno, le chiusure sono congelate

Il 2020 si è caratterizzato per un numero eccezionalmente basso di nuove imprese avviate: 9.190 a fronte delle oltre 18 mila aperte nel 2010. Per contro, i dati Infocamere certificano la chiusura nell’anno della pandemia di 22.250 attività. Un dato, che, tuttavia, sottostima la reale dimensione della crisi delle imprese della ristorazione, i cui effetti si vedranno soltanto nei prossimi mesi quando terminerà l’effetto anestetico dei provvedimenti di cassa integrazione, ristori, moratorie e via dicendo. A dicembre del 2020 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultavano attive 335.417 imprese della ristorazione.

Business in crisi, fiducia in calo

Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nel 2019, con oltre 46 miliardi di euro, il valore aggiunto generato dalle imprese della ristorazione è precipitato in un solo anno di 33 punti percentuali. Un dato che si traduce in un crollo della fiducia degli imprenditori in una pronta ripresa del mercato della ristorazione. Nel primo trimestre del 2021, il saldo tra valutazioni positive e valutazioni negative sulla dinamica del fatturato dell’intero settore segna -68,3%, in peggioramento di 13 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante l’intero Paese si trovasse in lockdown.

Serrande abbassate, ristori inadeguati

Un’indagine condotta da Fipe e Format Research, certifica che il 97,5% degli imprenditori ha registrato, nel corso del 2020, un calo del fatturato della propria azienda. In particolare, 6 titolari di Pubblici esercizi su 10 ha lamentato un crollo di oltre il 50%, mentre il 35,2% ritiene che il fatturato si sia contratto tra il 10% e il 50%. I motivi alla base della riduzione dei ricavi sono da ricercarsi principalmente nel calo della domanda a causa delle misure restrittive, sia sulle attività che sulla mobilità delle persone (88,8%), nella riduzione della capienza all’interno dei locali per l’attuazione dei protocolli di sicurezza (35,4%) e nel calo dei flussi turistici (31,1%), in particolare di quelli stranieri. A fronte di tutto questo, i ristori previsti dal governo sono stati insufficienti. Per l’89,2% degli imprenditori i sostegni sono stati poco (47,9%) o per nulla (41,3%) efficaci.

I consumi domestici non bastano

Costretti a casa dai lockdown, gli Italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro. Un dato che certifica come gli italiani abbiano speso meno soprattutto per prodotti agroalimentari di qualità superiore (vino, olio, piatti elaborati), comunemente consumati in maniera maggiore all’interno dei ristoranti. In termini si spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994. Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi. Se a luglio 2020, periodo nel quale i locali sono tornati a lavorare a buoni ritmi, la colazione rappresentava il 28% delle occasioni di consumo complessive, a febbraio 2021 la percentuale è salita al 33%. L’esatto contrario di quanto accaduto con le cene, passate dal 19% a meno dell’11%. A conti fatti, a febbraio di quest’anno colazioni, pranzi e pause di metà mattina hanno costituito l’87% delle occasioni di consumo fuori casa. Mentre è completamente scomparsa l’attività serale.

La speranza nel futuro, le ricette per il rilancio

L’85% dei titolari di bar e ristoranti si è detto sicuro che il settore riprenderà a marciare con decisione. L’incognita, tuttavia, è la data di fine dell’emergenza. Per meglio definire tempi e modalità della ripresa, Fipe-Confcommercio ha interpellato alcuni qualificati rappresentanti dell’industria, della distribuzione e della stessa ristorazione. Per quanto riguarda il ritorno ai livelli di fatturato pre-Covid, il 72% degli intervistati si divide equamente tra chi lo ritiene possibile nel 2022 (36%) e chi invece prevede uno slittamento al 2023 (36%). Resta un 27% di pessimisti che ritiene plausibile un ritorno a pieno regime solo nel 2024. In generale, la speranza è quella che l’effetto rimbalzo dei consumi fuoricasa nei prossimi 3-5 anni possa portare a un incremento dei consumi nei pubblici esercizi tale da superare i livelli del 2019. Per cogliere questa opportunità, tuttavia, gli “addetti ai lavori” individuano due strade maestre. Per il 27% degli intervistati, gli imprenditori dovranno puntare su un incremento dei servizi digitali, a cominciare dall’home delivery e da forme di take away sostenibili ed efficaci, attraverso menù appositamente studiati. Un altro 27% suggerisce invece di puntare su un miglioramento della qualità, puntando su una specializzazione identitaria in grado di garantire riconoscibilità a un bar o a un ristorante. Sempre più decisiva, in quest’ottica, anche una puntuale attività di marketing e comunicazione.

 

Focus - Pubblici esercizi e grandi aziende insieme nella campagna #ilsolito

Nelle prime settimane difficili della riapertura dei Pubblici Esercizi italiani, tra meteo avverso, provvedimenti restrittivi e, ancora, grande incertezza, Fipe-Confcommercio, Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, in collaborazione alcuni brand iconici del settore Horeca e Bain & Company, presenta #ilsolito, campagna di comunicazione che intercetta il desiderio di milioni di italiani di tornare a frequentare e vivere i locali delle loro città. È questa l’idea centrale del video raccontato di Fipe/Confcommercio, realizzato con il supporto di Coca-Cola, Lavazza, Perfetti Van Melle e Sanpellegrino.

#Ilsolito - concept ideato e prodotto dall’agenzia creativa YAM112003- si riferisce ai prodotti che gli italiani amano e consumano e, allo stesso tempo, vuole evocare anche il gesto quotidiano, l’esperienza della socialità, il rapporto di fiducia con l’esercente, che un anno di rinunce e limitazioni non hanno fatto dimenticare agli italiani. Anzi: è grande la voglia di normalità e di socialità, che va declinata promuovendo allo stesso tempo il rispetto delle regole e il pieno senso di responsabilità per non essere costretti ad ulteriori insopportabili sacrifici.

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