Per arrivare ad una reale sostenibilità del sistema alimentare, economica ed ambientale, la riduzione degli sprechi lungo tutta la filiera, dal campo alla tavola, è uno degli obiettivi più concreti e realizzabili da raggiungere, e su cui l’Italia, che può contare su una legislazione sul recupero dei rifiuti alimentari moderna, su strumenti di mercato e su una rete solidale di organizzazioni e istituzioni a livello territoriale, è in primissima fila. Tanto che, come rivela l’ultimo report del Food Sustainability Index (Fsi), l’indice dell’Economist Impact e di Fondazione Barilla che analizza il nesso cibo-salute-ambiente attraverso 38 indicatori e 95 metriche individuali, relative ai sistemi alimentari di 78 Paesi, che rappresentano il 92% del Pil e della popolazione globale, nella lotta allo spreco alimentare il nostro Paese ha registrato le migliori performance del 2021, secondo solo al Canada.
Merito anche della legge Gadda sugli sprechi alimentari, che ha facilitato, anche tramite agevolazioni fiscali, la donazione delle eccedenze alimentari alle onlus.Questo intervento normativo, riconosciuto come best practice a livello mondiale, ha prodotto subito risultati tangibili: solo nel primo anno di entrata in vigore della legge (2016-2017), le donazioni di cibo al Terzo settore - come sottolinea “Avvenire” - sono aumentate del 21%. Nella filiera produttiva si perde solo il 2% del cibo, e si stima che lo spreco alimentare pro capite annuo a livello domestico, sia di 67 kg, mentre quello nella ristorazione di 26 kg e quello nella distribuzione di 4 kg pro capite l’anno: il dato più basso registrato tra i 78 Paesi analizzati dal Fsi.
Nella classifica generale dell’indice, che si basa su su tre pilastri (lotta agli sprechi alimentari, sfide nutrizionali e agricoltura sostenibile), l’Italia si colloca al 16esimo posto tra i Paesi che hanno ottenuto buoni risultati sugli indicatori chiave dell’indice. Dall’elaborazione dell’indice emerge che la media di cibo scartato dei primi 20 Paesi che si distinguono nella lotta allo spreco alimentare è più bassa della media complessiva dei 78 Paesi (il 3% di tutto il cibo prodotto contro il 6%), ma meno di un terzo dei Paesi presi in analisi ha una strategia dedicata al tema. A tal riguardo l’Italia è in buona compagnia con Francia, Stati Uniti, Germania e Argentina. Anche lo spreco a livello domestico nei Paesi top performer è inferiore alla media di 85 chili pro capite all’anno.
Se dalla tavola facciamo un passo indietro, al campo, nell’indice sintetico sulla sostenibilità in agricoltura l’Italia esce dal gruppo dei 20 top performer con una performance giudicata “media” in una scala di 4 valori (very high, high, medium e low) ma nell’ambito del consumo idrico sono attesi importanti miglioramenti nei prossimi anni. Come molti Paesi del Mediterraneo in Italia la “pressione sulle risorse di acqua di superficie e di falda per la produzione alimentare” è piuttosto alta. Per questa ragione, attualmente, il nostro score appare abbastanza in linea con la media mondiale: 65,8 contro il punteggio medio di 70,3. Ma grazie alle politiche e iniziative in atto per promuovere l’irrigazione sostenibile, unite alle recenti indicazioni contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che contiene una sezione dedicata alla “Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche”, ci sono buone aspettative sul futuro.
Per quanto riguarda, invece, le sfide nutrizionali, l’Italia mostra dati buoni relativamente alla qualità della vita: a livello europeo, con lo score di 86 siamo dopo Francia e Spagna, ma prima della Germania. Anche l’aspettativa di vita in Italia è piuttosto alta: alla nascita è 83,2 anni, secondi solo al Giappone, mentre l’aspettativa di vita in salute è di 71,9. La mortalità da malattie non trasmissibili (NCDs), infine, è di 235,6 ogni 100.000 abitanti: uno dei dati più bassi tra quelli di tutti i Paesi analizzati. In Italia, inoltre, problemi quali la sottonutrizione o la malnutrizione infantile presentano una prevalenza molto bassa, come d’altra parte nella maggioranza dei Paesi occidentali.
Sui temi nutrizionali, in generale, appare forte l’impegno dell’Italia nel promuovere un’alimentazione sana e sostenibile, come dimostrano le tante iniziative e programmi nazionali di sensibilizzazione oggi attivi, come “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari”, programma nazionale di sensibilizzazione adottato del 2007, per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche e il miglioramento della qualità della vita, o le frequenti campagne di sensibilizzazione su temi specifici (per esempio, disturbi alimentari, carenza di iodio, diabete e celiachia) del Ministero della Salute.
A livello globale sono Giappone, Svezia, Danimarca, Francia e Cina i primi cinque Paesi con le migliori performance per l’area delle sfide nutrizionali, che include aspetti come la qualità della vita, carenze di nutrienti, aspettativa di vita, malnutrizione e composizione della dieta. Questa è probabilmente l’area che, più di altri, mette in luce le differenze che ancora caratterizzano i Paesi ad alto e basso reddito: infatti, 19 dei 20 Paesi con i migliori risultati sono Paesi ad alto reddito, in cui le diete sane e sostenibili sono economicamente accessibili alla popolazione. Tuttavia, solo 7 di questi 19 paesi includono l’aspetto della sostenibilità della dieta nelle linee guida alimentari nazionali.
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