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Fra prese in giro enoiche, esagerazioni e “cacciatori” virtuali in luoghi decisamente poco adatti, “Pokémon Go”, il gioco di realtà aumentata targato Nintendo, ha preso d’assalto il globo. Con riflessi non secondari per il settore della ristorazione

“Pokémon Go”, il videogioco per cellulari in realtà aumentata che consente di “cacciare” e catturare gli animaletti fantastici di Nintendo in ambienti reali tramite lo schermo del proprio smartphone, ha avuto un successo rapidissimo e planetario, facendo decollare il titolo della venerabile società giapponese del 12% in meno di due settimane. E il titolo è diventato un fenomeno di costume, tanto che sta facendo sentire la propria presenza (o assenza) anche nel settore della ristorazione globale.
Secondo quanto riportato dal britannico “Guardian” (www.theguardian.com), un numero ragguardevole di gestori di bar e ristoranti ha approfittato del successo del gioco per trasformare i propri ambienti in “riserve di caccia” di Pokémon, dopo aver notato che più di un avventore entrava nel locale solo perché al suo interno si trovava una preda rara - o magari perché, per un colpo di fortuna ancora maggiore, vi si trovava un “Pokéstop”, luogo virtuale nel quale è possibile ricaricare e allenare i propri animaletti. Alcuni, con un investimento modesto, hanno trasformato il loro locale in un magnete per giocatori: ad esempio, nel borough newyorkese del Queens il gestore del “L’inizio Pizza Bar” ha speso dieci dollari per “attirare” una dozzina di Pokémon, col risultato che le vendite nel fine settimana sono aumentate del 75%. E se si considera il fatto che tenere attivo h24 uno hotspot del genere costa al momento poco più di 1,1 dollari l’ora, l’investimento diventa molto interessante. Il rovescio della medaglia è che la presenza di una persona in un ristorante o in un bar non ne fa automaticamente un cliente; più di un esercente interpellato dal “Guardian” si è dimostrato apertamente ostile al gioco, lamentando il fatto che il proprio locale è diventato un posto dove branchi di persone incollate al cellulare stazionano all’esterno per gran parte della giornata, mentre altri entrano, si siedono e fanno finta di consultare il menù con il telefono in mano, per poi alzarsi e imboccare l’uscita. Ma di converso, alcuni clienti di ristoranti hanno lasciato anche recensioni nelle quali sottolineavano unicamente la mancanza di Pokémon nel ristorante in questione come fattore per una recensione negativa. Nel frattempo Niantic, la società che ha sviluppato il gioco, ha reso noto che darà presto la possibilità di “sponsorizzare” ufficialmente alcuni luoghi, in modo da aumentare la quantità di persone che li potrebbe potenzialmente frequentare. Anche se “Pokémon Go” dovesse rivelarsi un fuoco di paglia, comunque, avrebbe comunque dimostrato una cosa in modo inequivocabile, e cioè che le possibilità di marketing garantite dalla realtà aumentata sono molto tangibili, anche se veicolate tramite un prodotto non convenzionale come un videogioco.
Infine, come ogni fenomeno di costume che si rispetti, anche Pokémon Go è stato parodiato, ed in chiave apertamente enoica, con la comica americana Dena Blizzard che si è immedesimata via social media in un’utente, ovviamente donna, di “Chardonnay Go”, una “app per mamme” con la quale catturare bicchieri di Chardonnay. Vitigno che, per un luogo comune tutto statunitense, sarebbe la bevanda d’elezione delle “soccer moms”: bianche, di estrazione sociale e reddito medio-alti e che mandano i figli a scuola di calcio - e non di baseball o football americano - perché più distinto ed “europeo”.

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