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GIAMPAOLO FABRIS, DOCENTE DI SOCIOLOGIA DEI CONSUMI ALL’UNIVERSITÀ S.RAFFAELE DI MILANO: “QUALITÀ E ATTENZIONE AI PREZZI NEGLI SFORZI DELLA FILIERA AGROINDUSTRIALE” …

“Tra i Paesi che hanno chiuso le frontiere alla mozzarella di bufala abbiamo avuto la Corea del Sud e il Giappone, rispettivamente realtà con il più elevato tasso di inquinamento ambientale e elevate percentuali di mercurio rilevate nel pesce utilizzato per il sushi”. Lo rileva Giampaolo Fabris, docente di Sociologia dei consumi all’Università S.Raffaele di Milano, nel Forum di Confagricoltura (in corso a Taormina, dal 27 al 29 marzo).

Il caso sulla mozzarella di bufala si inserisce, dunque, anche nell’appuntamento dedicato a “Prodotti, canali e mercati: standard e nuove frontiere”. E i relatori prendono le difese di uno dei simboli del made in Italy. Nella stessa direzione va anche Luigi Scordamaglia, vicepresidente di Federalimentare, che sottolinea “l’elevato standard qualitativo e igienico sanitario della filiera agroalimentare nazionale” e pone l’attenzione sull’approccio dei media sulle tematiche dell’agricoltura e del cibo, spesso caratterizzate dall’allarmismo. “Nessuno ha ricordato che, con i livelli di diossina rilevati nelle mozzarelle di bufala esaminate, nemmeno mangiandone 7 chilogrammi al giorno si raggiungerebbero livelli dannosi per la salute umana”, rileva Scordamaglia.

La salute e la sicurezza alimentare dei prodotti è uno degli aspetti su cui il consumatore pone maggiore interesse, anche se, come osserva Fabris, “è stata superata la fase del salutismo degli anni Ottanta, è passata la fase di una cosiddetta autoindulgenza che ha caratterizzato gli anni Novanta e i cittadini intervistati (un campione di 2.500 persone dai 15 ai 74 anni), e si ricerca adesso un alimento buono, sano, concedendo ampi spazi anche al gusto”. Alimenti buoni e sani. Secondo Fabris il passaggio anche all’italianità del prodotto, visto come valore aggiunto, è pressoché automatico.

Sul made in Italy ha fondato il proprio modello di offerta il gruppo Crai, rappresentato nella tavola rotonda di Taormina dal consigliere delegato Emanuele Plata. “Il nostro modello distributivo - osserva Plata - tiene conto di elementi determinanti, come la territorialità, il pluralismo dell’offerta, la genuinità dei prodotti, caratteristiche diverse dal modello tedesco improntato al discount o a quello francese, che ha assunto come modello l’ipermercato”.

In Italia un’ossatura importante, anche se ridimensionata sensibilmente negli ultimi 10 anni, resta quella degli esercizi commerciali, che garantiscono una sorta di “pluralismo distributivo e di elevata qualità del prodotto”, come sostiene Luigi Taranto, direttore generale di Confcommercio.

Se il filo conduttore del made in Italy è la qualità, non devono tuttavia mancare ingredienti fondamentali. “Le materie prime garantite, ma anche la competitività sui mercati globali”, come precisa Scordamaglia, “che non possono prescindere da fattori rilevanti come il costo per ora lavorativa, che in Italia, con i suoi 23 euro, è la più elevata d’Europa”.

Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, richiama l’attenzione anche sul problema Ogm: “è troppo facile dire no, ma senza una coltivazione moderna e tecnologica che fa sperimentazione con approccio scientifico non possiamo pensare di essere autosufficienti nell’approvvigionamento di materie prime di qualità”.

Un lavoro importante da non sottovalutare è quello della comunicazione e dell’informazione: “in una selva di Dop, Igp e altre sigle - commenta Pier Aldo Isolani, responsabile Agricoltura di Adiconsum - il consumatore si ritrova disorientato e penalizzato”.

Attenzione anche ai prezzi. La difesa della pasta, al Forum, arriva direttamente da Giuseppe Amato, vicedirettore generale della “Antonio Amato & C. spa”. “Non credo che il prezzo della pasta, nonostante i rincari, sia inadeguato - dichiara - e risponde ai bisogni di qualità richiesti da quell’80% dei cittadini, come citato da Giampolo Fabris nella sua ricerca”.

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