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“GLI ARTIGIANI DEL VINO ITALIANO SIANO ORGOGLIOSI DI ESSERLO, MA CAPISCANO CHE GLI “INDUSTRIALI” NON SONO NEMICI, MA ALLEATI, A CUI L’ITALIA DEL VINO DEVE TANTO DEL SUO SUCCESSO”. LO DICE IL PIÙ CELEBRE DEGLI ARTIGIANI DEL VINO ITALIANO, ANGELO GAJA

Il mondo del vino italiano? Fatto per la stragrande maggioranza di artigiani del vino che devono essere orgogliosi della loro artigianalità, perché sono quelli che danno la spinta qualitativa alla produzione del Belpaese, ma che non devono temere o osteggiare gli “industriali” del vino, ma capire sempre di più che sono realtà complementari, come “il sugo per la pasta”, che non solo possono, ma devono camminare insieme. A dirlo l’“artigiano” più celebre del vino italiano, Angelo Gaja, oggi, nel quartier generale dei Sommelier a Roma, a condividere con sommelier e produttori la conoscenza del mondo del vino maturata in 50 anni di lavoro e di successi. Che rivendica la possibilità dell’artigiano vinicolo di fare le proprie scelte, anche controcorrente, ma con mente aperta: “evviva i vitigni autoctoni, sono una risorsa, ma non per questo internazionali e blend sono il diavolo. Il Sassicaia, il nostro vino bandiera, o il Tignanello, che hanno fatto una rivoluzione, di autoctono non hanno niente, ma insegnano”, dice Gaja, che su Barolo e Barbaresco ha costruito la sua fortuna. Amore per il territorio dunque, ma anche apertura mentale, sia perché l’Italia ha le risorse, i territorio e la conoscenza per valorizzare al massimo sia le sue varietà esclusive che i grandi vitigni internazionali, sia perché i mercati del mondo sono sempre di più e ci conoscono poco, e quindi serve puntare su messaggi nuovi e chiari, e non solo (o troppo) tecnici.

“Al punto che i produttori, ma anche i sommelier, nel mondo devono essere sempre di più anche “intrattenitori”, perché c’è chi quando beve vino vuole conoscerne la cultura, ma anche chi cerca semplice piacevolezza e divertimento. C’è chi è interessato più a quello che c’è fuori dalla bottiglia che a quel che c’è dentro, e non c’è niente di male”. Se si capisce questo, per Gaja, si possono cogliere le opportunità che si sono create anche in tempo di crisi, “anni in cui il consumo globale di vino ha ceduto pochissimo, perché il vino, piaccia o non piaccia, è passato da bevanda a “lusso”, che però è accessibile non solo a prezzi altissimi, ma anche da 10-15 euro. Una “bevanda culturale” straordinaria, che gratifica tanti consumatori diversi, ognuno a seconda del potere di acquisto, e che tutti, anche i super ricchi, bevono per condividerlo con qualcuno e questa è una risorsa che nessuna altra bevanda ha”.

Lo dice chi ha vissuto 50 anni fondamentali di “un ciclo che deve tanto agli Usa di Mondavi, per esempio, che ha colto per primo negli anni 70 la voglia degli americani per i vini di qualità - dice Gaja - e a Robert Parker, che con i suoi punteggi ha aperto un filone e offerto uno strumento di valutazione anche ai non esperti, ma che si sta chiudendo. Se ne sta aprendo uno nuovo, dove gli Usa saranno sempre importantissimi, ma dove, con le loro difficoltà, Paesi come Cina, India, Indonesia, Brasile, Russia e altri ancora chiederanno tanto vino straniero, e anche italiano. Che grazie ad all’immagine di prestigio di cui gode l’Italia in questi Paesi, ben più alta di quanto si pensi, ha tante possibilità di mercato per tutta quella fascia di vini che parte dalla cantina tra i 3 e gli 11 euro, e quindi non solo vini di basso prezzo allo scaffale”.

Occasioni che l’Italia del vino può cogliere davvero, però, solo se mette da parte divisioni e discussioni spesso sterili, e se capisce che artigiani e industriali del vino sono complementari: “i primi sono “il lievito” della qualità, la spostano verso l’altro, i secondi hanno la forza di aprire i mercati, di andare all’estero e di far conoscere l’immagine dell’Italia del vino. Montalcino, per esempio, deve il suo successo alla presenza di un artigiano storico come Biondi Santi, e al lavoro di un gigante come Castello Banfi. L’Italia del vino tutta deve tanto a marchi come Antinori o Santa Margherita, che ci hanno portato per primi e con forza nel mondo come Paese di vino, e che pure incomprensibilmente troppo spesso sono presi di mira”. Lo dice un artigiano del vino italiano orgoglioso di esserlo.

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