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PRESIDENZIALI USA

Harris o Trump, chi farà di più per il vino? Se lo chiede il magazine americano “Wine Enthusiast”

Anche WineNews, nei mesi scorsi, aveva analizzato le posizioni dei due candidati in merito a politiche commerciali e dazi
DAZI, DONALD TRUMP, Kamala Harris, MADE IN ITALY, STATI UNITI, Mondo
“Wine Enthusiast” mette a confronto le posizioni di Harris e Trump sull'industria del vino

Tra un paio di giorni sapremo se sarà Kamala Harris o Donald Trump a guidare le sorti degli Stati Uniti per i prossimi 4 anni, con conseguenze dirette sulla situazione internazionale. Ma alla vigilia di questo snodo fondamentale, che impatterà sugli equilibri mondiali, sui rapporti tra le super-potenze, sull’economia e le guerre in corso, quali saranno le conseguenze per il mondo del vino? Un tema che WineNews aveva già affrontato nei mesi scorsi, mettendo a confronto le ipotetiche posizioni dei due candidati sul commercio del vino made in Italy (considerando che gli Stati Uniti sono il nostro principale importatore), tra dazi e protezionismo, anche avvalendoci dell’opinione del giornalista americano Andrew Spannaus, giornalista e analista politico americano di stanza in Italia e autore del podcast “That’s America” su “Radio 24”. Adesso che, nel corso della campagna elettorale che si conclude oggi, le posizioni dei due candidati sono emerse con maggiore chiarezza, anche il magazine americano “Wine Enthusiast” si fa la stessa domanda: “chi farà di più e meglio per il vino, Donald Trump o Kamala Harris?” Sebbene nessuno dei due candidati abbia affrontato direttamente il tema del business del vino, che immette 276 miliardi di dollari all’anno nell’economia statunitense, entrambi hanno preso posizione su questioni che influenzeranno notevolmente il settore, dai dazi agli investimenti esteri, fino ai cambiamenti nelle linee guida dietetiche.
L’industria del vino è sotto pressione, scrive “Wine Enthusiast”: le vendite sono diminuite, in parte a causa del cambiamento delle abitudini di consumo tra i giovani, e il climate change ha causato danni ai vigneti negli Usa, tra incendi, inondazioni e altri disastri naturali. E le regioni che coltivano uva, in molti casi, ne producono troppa. “Di recente, il settore del vino statunitense è stato stagnante a causa del calo dei consumi e delle tendenze verso bevande alternative - afferma Asher Rubinstein, partner dello studio legale Gallet Dreyer & Berkey - quindi, dobbiamo chiederci se uno dei due candidati, se eletto, farà qualcosa di specifico nei confronti del settore per cambiare questa tendenza”.
Donald Trump ha una cantina che porta il suo nome (la sua omonima Trump Winery in Virginia è di proprietà ed è gestita da suo figlio, Eric), ma l’ex presidente è un noto astemio, il che non lo mette esattamente in una posizione privilegiata per sostenere il settore del vino. “Possiamo aspettarci che Trump, che non beve, probabilmente abbia meno affinità naturale per l’industria vinicola rispetto a Harris”, afferma Rubinstein.
Detto questo, Rubinstein sottolinea che Trump è protettivo nei confronti delle industrie statunitensi, il che potrebbe avere un impatto sull’attuale tendenza degli acquirenti stranieri ad accaparrarsi le aziende vinicole statunitensi. “Negli ultimi anni abbiamo visto Joseph Phelps acquistato da Lvmh, Shafer acquistato da un gruppo sudcoreano, l’acquisto - del valore di un miliardo di dollari - di Daou da parte della Treasury Wine Estate di proprietà australiana, e Chateau Montrose che ha acquistato un’azienda vinicola in Virginia - continua Rubinstein - dunque possiamo aspettarci che un’amministrazione Trump aumenti potenzialmente la supervisione e il controllo su tali acquisizioni da parte di soggetti stranieri, il che potrebbe rallentare il ritmo delle acquisizioni dall’estero”. Invece una delle maggiori preoccupazioni di una possibile amministrazione Trump sono i dazi. Durante la sua precedente amministrazione, è stato imposto un dazio “di ritorsione” del 25% sui vini fermi importati da Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Sebbene tali tariffe abbiano contribuito a promuovere i vini nazionali, gli effetti hanno comunque colpito nel segno. I ritardi hanno fatto sì che i vini importati aspettassero fino a tre mesi per arrivare negli Stati Uniti, i piccoli importatori in tutto il Paese sono stati costretti a gestire prezzi alle stelle e l’impatto si è riversato su ristoranti, rivenditori e clienti. Alla fine, i dazi sono stati sospesi dall’amministrazione Biden. Se Trump verrà rieletto a novembre, si impegna a imporre imposte dal 10% al 20% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti.
“Se Donald Trump vince, ci sono buone probabilità che vengano introdotti dazi sui vini importati - afferma Dave Parker, ceo e proprietario di Benchmark Wine Group nella Napa Valley - ciò aumenterà i costi e il valore dei prodotti negli Stati Uniti”. La National Association of Wine Retailers afferma che se le tariffe del 25% rimanessero in vigore o venissero ripristinate, si potrebbero verificare 78.000 perdite di posti di lavoro negli Stati Uniti, con un impatto su 200.000 dipendenti di importatori e distributori interessati ed un costo di 10 miliardi di dollari per il Paese. “Gli importatori di vini europei sentiranno solo sofferenza e nessun guadagno, se i dazi torneranno”, afferma Charles Lazzara, ceo e fondatore di Volio Imports. Gli effetti si farebbero sentire ampiamente con scarsi benefici, afferma Ben Aneff, presidente della U.S. Wine Trade Alliance: “le aziende vinicole crescono attraverso distributori forti e nuovi mercati esteri. I ristoranti dipendono dal vino importato a prezzi accessibili. A causa del sistema a tre livelli, le tariffe sul vino danneggiano le aziende americane più di quelle dei Paesi a cui sono destinate e sono una leva molto scarsa per influenzare la politica estera”.
Trump era in carica quando l’industria degli alcolici ha ottenuto una grande vittoria nel 2017 e nel 2019 con l’approvazione del “Craft Beverage Modernization and Tax Reform Act”, che ha riorganizzato le normative e abbassato le aliquote delle accise per i produttori di vino, i birrifici e i distillatori nazionali. Altri vantaggi permanenti includono l’estensione delle agevolazioni fiscali ai produttori di vino di medie e grandi dimensioni (le precedenti norme consentivano solo ai piccoli produttori di beneficiarne) e di concedere crediti d’imposta alle aziende vinicole indipendentemente dalle dimensioni della produzione, consentendo loro di reindirizzare quei fondi nella propria attività.
Ma Trump non può prendersi tutto il merito. La legge è stata approvata grazie agli sforzi di lobbying dei gruppi commerciali di bevande alcoliche, tra cui la Brewers Association, il Beer Institute, il Distilled Spirits Council of the United States, l’American Craft Spirits Association, Wine America, il Wine Institute e la U.S. Association of Cider Makers.
Nel 2020, un gruppo di scienziati ha raccomandato all’amministrazione Trump di ridurre le linee guida dietetiche statunitensi per l’assunzione di alcol da parte degli americani, da due bicchieri a uno. Ma Trump ha bocciato l’idea. Mentre l’industria vinicola fa i conti con l’affievolirsi dell’alone di salute intorno all’alcol, la posizione di Trump sul consumo potrebbe dare all’industria una base più solida. Kamala Harris, d'altra parte, è una bevitrice di vino. È stata vista sorseggiare vino al “Cork Wine Bar” di Washington e il proprietario ha detto che l’attuale vicepresidente può dilungarsi poeticamente sulle differenze tra la quercia della California e quella francese. Harris è stata membro del Congressional Wine Caucus, un gruppo bipartisan che difende gli interessi dell’industria vinicola, e membro del wine club del Rock Wall, ora chiuso, ad Alameda, California. Ma poiché non ha mai ricoperto questo ruolo prima, è difficile capire cosa significherebbe la sua elezione per l’industria vinicola.
Harris ha lanciato una battaglia alle imminenti imposte di Trump. La “Trump’s Tequila Tax” è una campagna sui social media che evidenzia cosa significherà il piano tariffario proposto da Trump per i bevitori. In breve: un conto al bar più costoso. Invece Kamala Harris vuole supportare le piccole imprese, come le piccole enoteche e i bar di proprietà locale, oltre a proporre una detrazione fiscale per le piccole imprese in fase di avvio. “Se Kamala Harris vince, non ci aspettiamo tariffe - dice Parker - ma potremmo aspettarci di vedere costi energetici elevati, inflazione, tasse più elevate ed una maggiore regolamentazione dell’occupazione, che alla fine aumenterebbero i costi di gestione”.
Harris si è anche schierata a favore di un’etichettatura più rigorosa dei prodotti, il che potrebbe essere rilevante se fosse estesa al packaging degli alcolici. Alcuni legislatori statunitensi si stanno ispirando all’Irlanda e stanno prendendo in considerazione etichette di avvertenza sulla salute e sul cancro apposte sui prodotti alcolici. L’Alcohol Tobacco and Trade Bureau ha avviato trattative sulle etichette indicanti calorie e ingredienti nelle bevande alcoliche. Alcune aziende vinicole dell’Oregon, tra cui Troon Vineyard e Sokol Blosser Winery, hanno già aggiunto informazioni sugli ingredienti alle loro etichette. “Non vedo alcun impatto negativo sull’etichettatura degli ingredienti, se dovesse entrare in gioco come in Europa - afferma Lazzara di Volio Imports - i codici QR sono estremamente utili per i consumatori”.
Un altro grande argomento di discussione è la legalizzazione (o la depenalizzazione) della marijuana. “Molti già se lo aspettavano con l’amministrazione Biden - afferma Rubinstein - forse accadrà durante l’amministrazione di Kamala Harris”. I membri dell’industria degli alcolici temono infatti che la cannabis legale possa allontanare i bevitori dal vino. “Potrebbe esercitare una pressione sull’industria del vino, poiché le persone potrebbero allontanarsi dal vino verso la cannabis - aggiunge Rubinstein - Trump non è un fan della legalizzazione della marijuana, quindi forse un’amministrazione Trump non alimenterebbe l’industria competitiva della cannabis”.

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