Amarone della Valpolicella, Barbaresco, Barolo, Bolgheri, Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Colli Orientali del Friuli, Collio, Franciacorta, Sagrantino di Montefalco: questa la “top ten” (con una leggera preferenza per Barolo e Brunello di Montalcino, definiti “i vini rossi italiani più celebrati”) dei terroir italiani del vino, almeno stando a Hugh Johnson, di gran lunga il più conosciuto ed apprezzato wine writer ed autore della guida cult del vino nel mondo (4 milioni di copie vendute, con traduzione in 13 lingue). Ma Johnson celebra anche 28 griffes d’Italia (di cui 10 toscane, 8 piemontesi, 3 friulane, 2 lombarde, 2 venete ed una per Umbria, Campania, Abruzzo) con le mitiche “quattro stelle” (ovvero il massimo livello di qualità) che sono: Castello di Ama (Toscana), Antinori (Toscana), Bertelli (Piemonte), Borgo del Tiglio (Friuli Venezia Giulia), Ca’ del Bosco (Lombardia), Caprai (Umbria), Case Basse (Toscana), Cavalleri (Lombardia), Aldo Conterno (Piemonte), Giacomo Conterno (Piemonte), Romano dal Forno (Veneto), Fattoria di Felsina (Toscana), Gaja (Piemonte), Galardi (Campania), Bruno Giacosa (Piemonte), Isole e Olena (Toscana), Ornellaia (Toscana), Poliziano (Toscana), Prunotto (Piemonte), Querciabella (Toscana), Quintarelli (Veneto), Rivetti (Piemonte), San Giusto a Rentennano (Toscana), Mario Schioppetto (Friuli Venezia Giulia), Tenuta del Terriccio (Toscana), Valentini (Abruzzo), Vie di Romans (Friuli Venezia Giulia), Roberto Voerzio (Piemonte). Ma tra gli “oscar” dei vini italiani figurano anche, con le mitiche “quattro stelle” (cioè “vino grande, prestigioso, costoso”), il Vin Santo degli Avignonesi, l’Anna Maria Clementi di Ca’ del Bosco, il Darmagi (il cabernet sauvignon di Angelo Gaja), le vecchie annate molto speciali del Marsala, il Patriglione di Cosimo Taurino, il Percarlo di San Giusto a Tentennano, il Solaia di Antinori, il Terre Brune, “splendido assemblaggio della cantina sociale sarda di Santadi”, ed il Tignanello, “pioniere ed ancora oggi leader dei nuovi rossi toscani ispirati ad uno stile internazionale”.
Hugh Johnson consiglia quindi una selezione di vini italiani per il 2002 - Barbaresco Asili Bruno Giocosa, Barolo Bussia Vigna Cicala Aldo Conterno, Barbera d’Asti Superiore Rivetti, Collio Bianco Studio di Bianco Borgo del Tiglio, Refosco Colli Orientali del Friuli Livio Felluga, Rosso Conero Visions of J Fattoria Le Terrazze, Chianti Classico Riserva Badia Passignano Antinori, Brunello di Montalcino Tenuta Col d’Orcia, Vigna Camarato Villa Matilde, Villa Fidelia Rosso Sportoletti - e tra i produttori “emergenti”, per i primi anni del Duemila, elenca: Gianfranco Alessandria (Piemonte), Bertelli (Piemonte), Le Cantine del Notaio (Basilicata), Damijan (Friuli Venezia Giulia), Fossi (Toscana), Galardi (Campania), Montepeloso (Toscana).
Ma la guida (unica al mondo nel dichiarare gli interessi dell’autore: “nella Royal Tokaji Wine Company in Ungheria e nello Chateau Latour a Bordeaux; è anche difficile essere imparziali nel caso di molti vigneti di amici”), che una delle più importanti rivista del mondo “NewsWeek” definisce “forse l’unica guida dei vini di cui si sente davvero la necessità”, avverte che “è una guida che non vuol classificare il vino, ma che vuol invitare ad amarlo per quello che è, ciascuno con la sua personalità peculiare e irripetibile”. Non solo Hugh Johnson è esplicito nella prefazione del suo “libro dei vini” (edizione n. 25) che deve “soltanto aiutare a scegliere sia il vino da bere a tavola tutti i giorni che la bottiglia d’annata e di pregio da far maturare in cantina”. Quindi alcune considerazioni sull’Italia, anche contrassegnate dal suo spiccato humour: “dopo un fugace flirt con varietà di stile internazionale, l’Italia sta tornando alle sue uve autoctone. Questi vitigni danno vini molto originali ed interessanti, pieni di carattere italiano, e vanno a consolidare un’identità che riflette 300 anni di tradizione vitivinicola”, “la rivoluzione della qualità in Italia è partita dalla Toscana e dal Piemonte, diffondendosi poi ad altre parti del Paese: prima di tutto nel territorio del Soave, nel Friuli Venezia Giulia, in Umbria e nelle Marche, quindi all’Emilia Romagna, fino ad ieri famosa solo per la sua prolifica produzione. Ma forse il segnale più incoraggiante è venuto dalla rinascita del Sud e delle isole negli anni Novanta”, “se da un lato i consumatori sono allibiti davanti ad un lunghissimo elenco di nomi da memorizzare, dall’altro è pur vero che mai prima d’ora si era posta al consumatore una scelta di vini così splendidi”, “oggi gli italiani bevono meno di prima, ma il vino che devono è di migliore qualità”, “sulle denominazioni, l’Italia in genere non sempre risponde a caratteristiche di ordine e precisione”.
Hugh Johnson riflette poi su cinque punti fondamentali nel futuro del mercato globale del vino:
primo punto: “a conquistare e mantenere le posizioni sugli scaffali di vendita, però, sono comunque i produttori meglio organizzati, e quelli che possono servirsi di una più accurata distribuzione”;
secondo punto: “i produttori dell’Unione Europea è fatto divieto di espandere i vigneti. Viene da stare dalla loro parte, però. L’Europa può anche non ampliare i suoi prosperi vigneti, ma tutti gli altri lo fanno. E’ questa la questione da porre ai responsabili delle comunità, ed alla loro burocrazia, che non riescono a vedere che il futuro non è regionale, ma globale”;
terzo punto: “alla base del successo del nuovo mondo sta invece in una cosa semplice, ma più forte: il linguaggio. A volte ci si trova impigliati tra le rigidità del sistema delle denominazioni ed il fatto che i consumatori siano sempre più abituati ad avere informazioni chiare e semplici”;
quarto punto: “i tappi di sughero sono nel mirino. Il numero di bottiglie sciupate a causa del tappo ha superato la soglia del rischio accettabile: eppure è certo che i consumatori non considerano tale questo problema: si pensa semplicemente che l’odore di muffa sia dovuto alla qualità del vino. Almeno il 90% dei vini sarebbe altrettanto buono, se non migliore, se conservato sotto un tappo a vite. In questo siamo decisamente troppo conservatori, o romantici, per quanto riguarda tappi di sughero ed apribottiglie”;
quinto punto: “per la scelta del vino, si deve sempre partire da quel che si pensa di mangiare”.
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