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BELPAESE RURALE

I borghi, spina dorsale del Belpaese: il pensiero di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food

Una “vittoria” anche di Ermete Realacci e Symbola: i giovani riscoprono i piccoli comuni, in spopolamento da decenni

I borghi sono la spina dorsale del Belpaese, sia quando parla del settore agricolo e di quello alimentare, che quando si pensa al patrimonio di botteghe che, dal Nord al Sud, danno vita ad un’economia difficile da sostenere, ma fondamentale da difendere. Eppure, i numeri raccontano una realtà sempre più dura per i piccoli comuni che, come ricorda Slow Food, accolgono 10 milioni di abitanti, ma occupano il 54% della superficie del territorio nazionale; oltre 300 comuni, negli ultimi 40 anni, hanno visto la popolazione calare di oltre il 50%, con picchi fino all’80%, e 700 comuni hanno perso almeno il 40% degli abitanti; i piccoli comuni, soprattutto al Sud, tendono ad avere un reddito pro capite più basso della media e un’età media proporzionalmente più alta rispetto ai centri urbani; ancora più di 1.100 comuni, in prevalenza montani, non sono allacciati alla rete del metano, con conseguenti costi più alti per riscaldamento e maggiori disagi. Un quadro, però, in miglioramento, perché come scrive il fondatore dell’associazione della chiocciola, Carlo Petrini, sono sempre di più i progetti volti a ricostruire microeconomie nelle aree a rischio abbandono e spopolamento, specie nell’entroterra, confermando così una tendenza già raccontata, a WineNews, da Ermete Realacci, presidente di Symbola, che nel recupero dei borghi e delle tradizioni ha da sempre il centro delle proprie battaglie.
“A fronte di un continuo spopolamento dei piccoli paesi (2.000 comuni, in prevalenza montani, hanno perso più del 20% della popolazione negli ultimi 40 anni, con 300 che hanno una percentuale di spopolamento che va dal 50 all’ 80%) - scrive il presidente di Slow Food - oggi qualche segnale positivo rispetto a una possibile inversione di tendenza lo possiamo intravedere. È necessario però intervenire per garantire servizi necessari a consentire alle persone di non abbandonare i piccoli borghi. Quando sono partiti i primi bandi a sostegno delle attività commerciali di prossimità nelle aree interne, sembrava un indebito tentativo di contrastare un naturale processo di concentrazione del commercio nei comuni più grandi e popolati. Eppure anche questa misura sta iniziando a dare risultati interessanti, con piccole attività che ripartono e giovani che restano o addirittura tornano. Perché le botteghe sono l’anima dei borghi, perché sono luoghi in cui si ri-costruisce comunità e appartenenza - agiunge Petrini - e dove rinascono servizi fondamentali per gli abitanti, dagli alimentari alla parafarmacia all’edicola al bar, magari tutti riuniti nello stesso luogo fisico. La bottega moderna è infatti tutto questo, e le nuove tecnologie consentono di integrare ulteriori servizi come ad esempio il ricevimento e l’invio di pacchi. Di pari passo si potrebbe parlare dei forni comunitari, che negli ultimi anni hanno visto un nuovo sviluppo e che interessano sempre più territori, segno di una voglia e di un bisogno di comunità e di partecipazione, di cooperazione e di collaborazione”.
Anche l’agricoltura, ovviamente, ha un ruolo centrale nel Petrini pensiero. “Tutto questo è e può diventare fonte di ricchezza - riprende il fondatore di Slow Food - se collocato in un disegno di economia circolare, ri-localizzazione, promozione di un turismo ecologico vero. L’agricoltura può e deve ovviamente essere al cuore di questo processo, perché è il comparto che maggiormente può mettere a valore, attraverso pratiche virtuose, queste risorse. Occorre, però, che i finanziamenti non siano distribuiti a pioggia, ma, ad esempio, indirizzati a chi in montagna fa veramente allevamento e ci vive, perché è una delle attività qualificanti: tutela l’ambiente, contribuisce a rendere fertili terreni, fornisce prodotti gastronomici buoni. Dobbiamo essere in grado - conclude Petrini - di pensare un’Italia in cui il benessere sia diffuso e in cui sia possibile costruire opzioni di vita promettenti a tutte le latitudini. Il vero simbolo dell’italianità e del “savoir-vivre” del Bel Paese abita nei piccoli borghi.”.
Una linea sposata, da sempre, anche da Ermete Realacci, presidente di Symbola-Fondazione (http://www.symbola.net/), che qualche tempo fa, a WineNews, non perse l’occasione di ricordare il valore dei borghi non solo per l’identità del Paese, ma anche per la sua competitività internazionale. “C’è un’Italia che sfida la crisi puntando sulla propria identità, un’Italia che fa l’Italia e che compete senza perdere la propria anima. Tradizioni, territorio, cultura, bellezza, innovazione e creatività sono le chiavi su cui scommettere per mantenere e rafforzare i primati internazionali che può vantare il nostro Paese. La spina dorsale di questi primati abita anche nei piccoli comuni”. A partire, sottolineava Realacci, dal “turismo, ovviamente: lì alberga un patrimonio naturale, culturale, paesaggistico ed artistico senza eguali, che attira un numero sempre crescente di turisti italiani e stranieri. Ma anche produzioni di qualità, nell’artigianato e nella manifattura. In particolare in questi piccoli centri, si produce il 92% dei prodotti agroalimentari Dop e Igp, e il 79% dei vini italiani più pregiati”.

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