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I GRANDI DELL’ITALIA DEL VINO RIPIANTANO IL SUGHERO IN SARDEGNA: UN NUOVO BOSCO DI 4.000 PIANTE. IL PRESIDENTE DEI GRANDI MARCHI, PIERO ANTINORI: “RESTITUIAMO ALLA NATURA”

Quattromila piante di sughero verranno reimpiantate dai grandi nomi del vino italiano in Sardegna nella foresta Marghine-Sa Serra (Nuoro). Il progetto “Sughereta in Sardegna” contribuirà a custodire un patrimonio ambientale e una cultura rurale che stanno scomparendo a causa di malattie delle piante, incendi e disboscamenti in una regione da sempre epicentro della produzione di sughero del Paese, con il 90% del mercato nazionale, 250 aziende e 6.000 addetti tra lavoratori diretti, stagionali e indotto. L’idea è stata realizzata in collaborazione con AzzeroCO2, società cui fanno capo Legambiente, Kyoto Club e Ambiente Italia.

“Vogliamo in qualche modo restituire alla natura ciò che di grande fa per noi - spiega il presidente dell’Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori - e, al contempo, ribadire il binomio irrinunciabile tra sughero e vino di qualità. Oggi l’industria del vino assorbe il 70% del mercato del sughero italiano e, nonostante la tecnologia abbia provato a minarne il monopolio, rimane di gran lunga il materiale più usato per la chiusura del vino di qualità.

L’Italia con 170.000 quintali di sughero prodotti ogni anno (pari al 5,5% della produzione mondiale) è al terzo posto nella classifica dei grandi produttori mondiali, dopo il Portogallo e Spagna. La produzione di sughero in Italia principalmente destinata ai tappi, con 1,5 miliardo di pezzi ogni anno e rappresenta il 70% della produzione dell’intero comparto. La Sardegna, dove 151 anni fa nacquero ufficialmente i tappi in sughero, conta oggi 200.000 ettari di sugherete e rappresenta il 90% del sughero italiano.

“Il sughero sardo è in pericolo: nei prossimi 30 anni rischiamo di perdere il 25% delle sugherete sarde, pari a 50.000 ettari’’, spiega il preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, Pietro Luciano, secondo il quale “i fattori di rischio odierni sono l’abbandono ma soprattutto il mancato rinnovamento e il progressivo deperimento delle aree”.

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