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Il 2014 potrebbe essere il primo anno negativo per le importazioni di vino in Cina. A dirlo i dati della dogane di tre città top come Shanghai, Dalian e Shenzhen. Italia stabile in volume, ma perde in valore: -7,7% (dati Unione Italiana Vini)

Italia
Il 2014 potrebbe essere il primo anno negativo per le importazioni di vino in Cina

I dati definitivi ancora non si conoscono, ma il 2014, con ogni probabilità, potrebbe essere il primo anno con il segno negativo per le importazioni del vino in Cina, Paese sui cui tutti o quasi puntano per la crescita del business enoico, dopo diversi anni consecutivi di aumenti, spesso a doppia cifra.
Lo sottolinea, tra gli altri, wines-info.com, uno dei siti più seguiti sul mercato enoico cinese. Una notizia non del tutto inattesa, in verità, visto il rallentamento della crescita dell’economia della Cina (si raggiungerà a fatica un +7,5% del Pil, contro l’8% previsto dalla seconda economia più grande del mondo), e, soprattutto, la stretta sulle spese di rappresentanza imposte dal Governo di Pechino tra la fine del 2013 e l’inizio dell’anno appena concluso, che ha pesato sulle vendite soprattutto dei vini di altissima gamma, Bordeaux in primis, ma non solo.

Le cifre parlano chiaro: nei primi 8 mesi del 2014, le dogane registrano un -6,7% dell’import enoico, in valore, a Dalian, -25,6% a Shanghai, e -5,2% a Shenzhen, città che mettono insieme oltre 40 milioni di abitanti e che rappresentano tre delle piazze più importanti per il mercato del vino in Cina. Dati leggermente migliori, se si guarda al valore: -5,8% a Shanghai, mentre Shenzen (+7,7%) e Dalian (+1,9%) sono in positivo. Giù anche i prezzi medi dichiarati dalle dogane: -8,4% a Dalian (8,6 dollari al litro), -21,1% a Shanghai (7 dollari) e -12% a Shenzen (10,5).

Anche l’Italia, ovviamente, non è immune da questo rallentamento: secondo Unione Italiana Vini (dati gennaio-settembre), nel 2014 il Belpaese ha esportato vino imbottigliato in Cina per 12,7 milioni di litri +0,1% sul 2013, perdendo però il 7,7% in valore, che passa da 43,1 a 39,8 milioni di dollari, per un prezzo medio al litro che scende da 3,39 a 3,13 euro (-7,8%). Ancora peggio è andata sul fronte dello sfuso, che si è fermato a 618.592 litri (-37,2%) per 1,8 milioni di euro (-34,3%). Nondimeno, la fiducia nel futuro del consumo di vino in Cina è alta. Soprattutto perché i consumi in ogni caso aumentano (il 2014 dovrebbe chiudersi a 25 milioni di ettolitri sui 22,5 del 2013, secondo dati provvisori di Euromonitor) e anche perché, come rileva uno studio dell’australiano Ehrenberg-Bass Institute for Marketing Science, anche se si orientano su vini dal prezzo non altissimo, le persone stanno iniziando a bere vino anche a casa con maggiore frequenza, soprattutto tra i giovani.

Secondo un sondaggio su 1.000 persone (tra i 18 e i 49 anni), infatti, è raddoppiata in un anno la percentuale di chi ha bevuto vino di importazione. Dato importante, visto che la produzione domestica vale ancora l’80% del mercato enoico cinese. E, ancora, il 52% di chi beve vino a casa dice di concedersi un calice almeno una volta a settimana, e il 28% almeno una volta al mese, non solo per accompagnare un pasto, ma come semplice momento di relax.

Certo è che la conoscenza del vino è ancora poco più che a un livello base: il 76% degli intervistate conosce Bordeaux come regione vinicola, ed il 53% la Borgogna, riflesso di una Francia che domina oltre la metà del mercato del vino di importazione. Ma se si esce da questi due nomi, le percentuali sono decisamente più basse: solo il 44% conosce la Barossa Valley, per esempio, regione tra le più importanti della “vicina” Australia, e si scende al 35% se si parla di Toscana e Barolo, che sono i due nomi associati al vino italiano più conosciuti. Insomma, un mercato, quello cinese, che promette ancora molto, ma sul quale c’è davvero da lavorare tanto.

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