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Il cenone? Una boiaita pazzesca. Così il critico enogastronomico Paolo Massobrio (Club Papillon) boccia i riti della crapula di fine anno

“Siamo all’overdose del formalismo a tavola, siamo allo spreco da ostentazione, siamo alla vergogna”. Chi si scaglia contro la cultura del cenone è nientemeno che l’autore de Il Golosario, la guida alle 1.000 e più cose buone d’Italia, che denuncia la fine della cena come modo per stare veramente insieme.

Paolo Massobrio, 45 anni, autore di libri dedicati ai cibi e ai vini non ne può più: “E’ antistorico il cenone perché è inattuale l’abbondanza a tavola per un popolo di ipernutriti. Oggi il medico più gettonato è il dietologo, seguito a ruota, forse, dallo psicologo. Ma se è così, c’è qualcosa che non va”.

A dargli ragione, del resto, sono le statistiche secondo cui il 20% degli acquisti per il cenone sarebbe destinato alla spazzatura. Ma anche la spesa quotidiana del tre per due finisce direttamente dentro ai cassonetti. Un terzo lo buttiamo via, perché? “Perché s’è perso il criterio di fare la spesa, e a seguire la cultura di cucinare gli avanzi derivati da una cena o del frigorifero - dice ancora Paolo Massobrio, che in libreria ha portato Avanzi d’Autore, un libro per parlare del rapporto con il frigorifero. Avanzi d’Autore (Comunica Edizioni, pag. 448, € 13,90) segue dunque il flusso dei mesi e parte dal dialogo con uno chef (da Gianfranco Vissani a Nadia Santini, da Moreno Cedroni a Davide Scabin e ancora Davide Oldani, Cesare Giaccone, Alfonso Iaccarino, Luisa Valazza, Carlo Nan, Anna Dente, Paolo Donei e Paolo Teverini) proprio sulla cultura del non spreco. Quindi le ricette di Giovanna Ruo Berchera, elaborate sulla base di ciò che resta nel frigorifero o dei cibi in abbondanza che arrivano nelle case, ad esempio, durante il periodo delle feste.

Cosa fare allora a Capodanno? “La prima regola - incalza Massobrio - è pensare a chi si invita a cena e a cosa si vuole dividere. Che è il contrario di quel formalismo ereditato dal dopoguerra, dove si doveva mettere in tavola tanto per esorcizzare la paura della fame. Il cenone deve tornare ad essere la “com-pagnia”, che vuol dire letteralmente dividere il pane. Quindi nessun disagio, né per l’improvvisata cuoca di una volta l’anno che si deve massacrare per tutti ai fornelli, né per gli invitati che devono per forza uscire dalla casa pieni come dei tacchini”.

“Sono stupidi - dice ancora Massobrio - quei cenoni che propinano certi ristoranti a fine anno, pieni di ogni portata senza criterio, solo per giustificare un prezzo o una seduta di tre ore ai tavoli. Che noia!”. Quindi? “Pensiamo invece a un piatto, un solo piatto, nel segno di una cosa buona a tanta. Intorno ad esso uno sfizioso aperitivo, poi tanta frutta e dolci e un paio di vini. Il resto del tempo può ben essere dedicato alla musica, al gioco, allo stare insieme che non necessariamente deve essere lo stare a tavola”. Qualche esempio? “Aragosta e solo aragosta con un paio di contorni, un cappone scampato alla pandemia mediatica, cotto al tegame o al forno con un contorno di verze e cavoli all’acciuga, oppure uno dei tanti piatti regionali italiani che dicono della voglia di stare insieme, favorendo il più possibile la condivisione del servizio tra i commensali. Ma solo quello - ribatte il critico con il Papillon, che è anche il nome del suo movimento di consumatori con seimila soci - Basta con antipasti, primi, secondi, formaggi, dolci, serviti con i ritmi delle cerimonie, salvo poi arrivare a fine pasto, magari con il vino importante, e non poterne più”.

Un gastronomo pentito? “Macche, il mio è un grido di dolore perché si sta perdendo il gusto di mangiare per comunicare un affetto. Qui si fa solo del formalismo, siamo al moralismo della tavola, alla cristallizzazione di una tradizione che è andata fuori moda, oltre che fuori misura, senza un’idea di fondo che dovrebbe essere l’augurio di un anno all’insegna dello stare insieme, senza esagerare, con verità”.

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