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Il cibo come strumento di lotta alla legalità, come impresa che crea ricchezza e lavoro, come artigianato che rinnova la tradizione, come termometro della coesione sociale. Emerge a “La Repubblica delle Idee”, de “La Repubblica” e Slow Food

Non Solo Vino
A La Repubblica delle Idee importante forum con Carlo Petrini, Don Ciotti ...

Il cibo come strumento di lotta alla legalità, come impresa che crea ricchezza e lavoro, come artigianato che rinnova la tradizione, come termometro della coesione sociale. Ecco i principali temi affrontati a “La Repubblica delle Idee” di scena, nei giorni scorsi, a Reggio Emilia, promossa dal celebre quotidiano, in collaborazione con Slow Food. Dove si è parlato anche di cibo e criminalità, organizzata con Don Luigi Ciotti, fondatori di Libera e Libera Terra, e il giurista Stefano Rodotà.
“I numeri fanno impressione - ha detto Don Ciotti - 15 miliardi di fatturato illegale sull’agrolimentare. Il cibo va liberato. Ma prima della legalità, viene l’assunzione di responsabilità, che dobbiamo fare tutti. Perchè così rispetteremo le regole giuste e lotteremo contro quelle ingiuste. Non possiamo solo commuoverci, quando succede qualche tragedia, dobbiamo muoverci”. “Ci sono 5.000 ristoranti in mano alle mafie, ma c’è chi fa spallucce - ha aggiunto Rodotà - e questo avviene perché in Italia ci sono 6 milioni di persone in povertà assoluta, e 10 in povertà relativa, secondo l’Istat, e in questa frantumazione del tessuto sociale si introduce la criminalità, non solo con lo strumento della violenza, ma con la disponibilità degli strumenti finanziari”.
Mafia che truffa Stato e cittadini, e fa concorrenza sleale alle imprese oneste, che hanno già i loro problemi. A partire da quello delle dimensioni, croce e delizia del Belpaese, come ha ricordato il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina. “Abbiamo un sistema di piccole e medie imprese, che dobbiamo spingere al massimo per favorirne l’aggregazione. Che non vuol dire farle rinunciare alle loro esperienze individuali di impresa, ma di far mettere a “fattore comune” quello che fanno. Il modello è il trentino delle mele, basta vedere cosa è successo tra cooperative e piccole famiglie di agricoltori, che hanno capito, da sole, e quando era il momento, che nel mondo globalizzato di oggi le parole chiave sono aggregazione e cooperazione”. “D’altronde, quella di collaborare - aggiunge il presidente di Coop Italia Marco Pedroni - è un’esigenza. Basta chiedersi perché Germania, Francia o Spagna esportano più dell’Italia. E la risposta è perché, al netto di divisioni e discussioni su prezzi, contratti e così via, che fanno parte del gioco, di fondo c’è una capacità di collaborazione nel promuovere il valore dei prodotti, della filiera, nel portare in giro i marchi”.
“Ma c’è anche il mio pallino - aggiunge il ministro Martina - quello della questione generazionale: dobbiamo riportare più giovani ad investire in agricoltura”. Ma “servono “i schei”, i soldi - lo ha arringato Gianola Nonino, alla guida della celebre distilleria friulana Nonino - perchè se le banche non danno i soldi, o uno è figlio di genitori con tante terre di proprietà, o è un povero diavolo che non può neanche iniziare un’attività di impresa”.
“È un problema reale - ammette Martina - sul quale abbiamo strumenti che, però, vanno resi più efficaci. Abbiamo chiesto all’Abi di muoversi in questo senso, e come risorse interene abbiamo dei fondi di garanzia per l’avvio di nuove imprese. Insomma, qualche esperienza positiva c’è. E in questo senso, a febbraio 2015 partirà “Agrilab”. Sarà il primo progetto nazionale dedicato alle start up in campo agricolo e agroalimentare. Un progetto finanziato dal Ministero, che ha l’obiettivo di mettere in rete diverse esperienze, formarle, finanziarle e dotarle di tutti gli strumenti di investimento di impresa. Ci stiamo lavorando ed è uno dei progetti fondamentali del Ministero verso Expo 2015. Detto questo - ha aggiunto Martina - quello dell’accesso al credito è un grande tema da gestire, ed è quello che stiamo cercando di fare”.
Un altro grande tema, fondamentale, è quello dell’educazione al valore del cibo. “Un italiano spreca 180 chili di cibo all’anno - ha sottolineato Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose - in Germania ci si ferma a 66, in Francia a 78. Vuol dire che da noi, in Italia, c’è un rapporto con il cibo che non ha il senso della misura”.
“Ecco perchè nel riportare l’educazione alimentare al centro del dibattito - ha rilanciato il fondatore presidente di Slow Food, Carlin Petrini - dobbiamo puntare su quella sapienza contadina che aveva un legame di valori profondi con il cibo. Il nostro Paese, prima di vantarsi della bontà del made in Italy, deve educare al cibo i giovani nelle scuole e negli asili, perché quel cordone ombelicale di conoscenza che la mia generazione riceveva dal padre o dal nonno, su questo tema si è reciso. Quando vediamo i disastri dell’assetto idrogeologico del Paese, per esempio, tutti parlano di opere non fatte, ed è vero, ma nessuno parla della distruzione della civiltà contadina, che con le sue piccole famiglie preservava gli ecosistemi. La cementificazione che ruba suoli agricoli non ha più senso, bisogna dire basta, altrimenti del made in Italy rimane la fuffa. Sintetizzo, lanciando anche un messaggio al Presidente del Consiglio Matteo Renzi: l’Italia si salverà quando avrà l’orgoglio di salvare il Parmigiano Reggiano, se si farà in modo di smettere di trovare un Parmigiano Reggiano che costa meno della mozzarella”.
Ma a Reggio Emilia si è parlato anche dell’aspetto edonistico del cibo, che spesso porta a paragonare l’alta cucina all’arte. “Ma io non sono un artista, sono solo un artigiano - ha detto il numero 1 degli chef d’Italia, Massimo Bottura - perché l’artista è libero a 360 gradi, non ha limiti. Un cuoco è soggetto ad un vincolo imprescindibile, quello di fare del buon cibo. E oggi fare cucina contemporanea, in Italia - ribadisce, come già raccontato in un’intervista a WineNews.tv - non è altro che prendere coscienza di quello che è il nostro passato, e ricomporlo, ricostruirlo, senza prenderne le distanze, ma con una mente contemporanea, per dare una nuova vita alla tradizione, senza guardarla in maniera nostalgica”. Anche perché “la tradizione non è il passato - ha detto Marino Niola - professore di Antropologia e direttore del Centro di studi sociali sulla dieta mediterranea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli - ma è l’uso che noi facciamo del passato. La tradizione vive solo se cambia, se evolve e si adatta”. Anche quando si parla di cibo.
Info: www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/ 

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