
Un fiasco impagliato, appoggiato su una tovaglia a scacchi bianchi e rossi. È un archetipo, il simbolo dell’Italia “spaghetti, Chianti & mandolino” che ha popolato l’immaginario collettivo di intere generazioni di turisti innamorati del nostro paese. Al fiasco vanno riconosciuti meriti innegabili: ha contribuito ad esportare l’immagine italiana nel mondo, determinando il successo del Chianti e facendone il vino più bevuto (e venduto) all’estero. Se poi aziende poco oneste hanno approfittato della sua notorietà per vendere un prodotto scadente, la colpa non è certo del fiasco, vittima innocente di una crisi d’immagine di portata enorme, che a partire dagli anni Sessanta lo ha fatto associare automaticamente ad un vinello da quattro soldi. I produttori del Chianti ci hanno messo molto tempo e una grande fatica per risalire la china, intervenendo sul disciplinare e abbandonando il fiasco in favore della più moderna bordolese. Adesso il Chianti è tornato a splendere nell’Olimpo dei vini più prestigiosi, ed è comprensibile il rifiuto della maggior parte delle aziende toscane a riprendere in considerazione il vecchio contenitore. Tutti concordi che al fiasco, come a un valoroso generale, vadano riconosciute le medaglie conquistate sul campo, ma altrettanto decisi a volerlo mandare definitivamente in pensione. L’opinione comune è che il fiasco sia ormai abusato, superato, non in grado di reggere la concorrenza giovane e agguerrita del nuovo mondo enologico. Può al massimo servire a dare un tocco di colore, folcloristico e un pochino nostalgico: un souvenir per americani ingenui, o paccottiglia scenografica nelle osterie che strizzano l’occhio a turisti ancora legati ad un’immagine tradizionale dell’Italia.
Eppure questo antico recipiente ha dalla sua parte accaniti sostenitori, convinti di un suo possibile rilancio dopo una rivisitazione del look. La pensa così il Consorzio del Fiasco Toscano, che ha presentato per il Duemila un modello decisamente più agile e aerodinamico rispetto alle placide linee tradizionali. I tempi sembrano maturi per la riabilitazione. Il fiasco è un pezzo dell’identità toscana, e rinunciarvi sarebbe una grave perdita: non si possono dimenticare secoli di storia, senza contare che la sua realizzazione implica saperi artigianali che andrebbero dispersi. Ma per rilanciare il fiasco occorre innanzitutto capire quale sia il contenuto che gli si adatti perfettamente. Lo si potrebbe destinare ad un vino fresco e beverino (stessa ricetta del Chianti di una volta, fatto quasi al 50% con uve bianche) per un prodotto di consumo quotidiano. Oppure azzardare una scelta opposta, lanciando un fiasco prezioso, prodotto in serie limitata e magari impagliato a mano, come degno souvenir di un turista del vino di lusso.
Il dibattito rimane aperto: per il momento solo una piccolissima quantità di Chianti viene messa nei fiaschi, quasi tutti destinati all’esportazione. Chissà che nel futuro le cose non cambino, tenuto conto dei flussi e riflussi delle mode in questi tempi di costante revival.
Eleonora Ciolfi
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