“Il futuro del mercato del vino in Usa sarà quanto mai brillante: siamo già il primo mercato del mondo e beviamo solo 10 litri procapite all’anno: pensate cosa sarebbe se ne bevessimo come in Francia”: parola di Mel Dick, vicepresidente di “Southern Wine and Spirits of America”, il più importante importatore e distributore di vino in America, che ogni anno muove 63 milioni di casse di vino per un valore di 5 miliardi di dollari, in oltre 35 Stati, tra i protagonisti di “Inside the Usa Wine Market”, approfondimento ideato da Vinexpo e Wine Spectator che ha messo insieme un panel top di importatori, distributori e ristoratori, per fare il punto su quello che oggi è il mercato più importante del vino mondiale (nonché primo sbocco straniero per l’Italia in valore, ndr), con nomi come David Trone della catena “Total Wine & More”, Stephen Rust, presidente di “Diageo Chateau & Estate”, “Michael Mondavi”, fondatore di “Folio Fine Wine Partners”, Annette Alvarez-Peters, responsabile degli alcolici per “Costco”, ed Helen Mackey, vicepresidente di “Ruth’s Chris Steak Houses”, la più importante catena di ristorazione di qualità in Usa. Un gruppo che, in sintesi, muove ogni anno oltre 10 miliardi di dollari di vino negli States, e che ha il polso della situazione di un mercato che, come noto, molti danno per semplice e maturo, ma che in realtà richiede grandi competenze per districarsi nella selva di leggi che regolano il commercio del vino e degli alcolici (il tree-tyer system con la via obbligata importatore-distributore-retailer, regole diverse da stato a stato, a volte “monopolio” e così via) e che, a patto di investire molto in comunicazione e marketing, ha ancora tanti margini di crescita.
Fondamentale, dicono tutti, la qualità, ormai un prerequisito più che un elemento che fa da solo la differenza. Ma soprattutto, quello che contano sono le relazioni che ogni produttore deve saper coltivare con gli attori della filiera prima, e con i consumatori poi. Che vuol dire trovare il partner giusto, che condivida la filosofia e gli obiettivi della cantina, ed essere fisicamente presenti sui mercati, investire in comunicazione ed eventi, guidare degustazioni personalmente, ovvero, in sintesi, metterci la faccia. Cosa che paga perché, come ha spiegato ai francesi Helen Mackey, “quando da noi è venuto Piero Antinori tutti erano a farsi foto e stringerli la mano come fosse una rock star”.
Determinante, poi offrire prodotti diversi e fortemente identitari, legati ad un territorio, ad uno stile o alla storia di una famiglia, elementi fondamentali che tutti, da Folio (che ha portato come esempio alla platea francese la storia di Frescobaldi) a Total Wine, da Costco a Southern Wine & Spirts, fino a Diageo, valutano ancora prima di decidere se assaggiare o meno un vino. Chiaramente, le grandi speranze per il futuro sono riposte nei “Millenials” che, a detta di tutti, sono la categoria che spende più soldi nel vino, e che è disposta a pagare qualche dollaro in più per prodotti di alta qualità e, soprattutto, distintivi. E sono loro che guidano il fenomeno della “premiumisation”, ovvero l’aumento del prezzo medio di vendita delle bottiglie in Usa, con il “magic price point” che, oramai, è stabilmente nella fascia tra i 10 e i 20 dollari a bottiglia, e si sposta verso l’alto.
Anche grazie alla tecnologia, come ha spiegato Trone: “in Total Wine & More ci investiamo molto, e grazie agli smartphone riusciamo a capire esattamente cosa comprano e cosa non comprano i nostri clienti, quando lo fanno, quanto spendono e tante altre informazioni, che ci permetto di fare loro offerte personalizzate con grande precisione di offerta, e nei momenti giusti”.
Ma, come detto, il big player del mercato americano guardano al futuro con grande ottimismo. E lanciano un messaggio: se il fenomeno più importante degli ultimi anni è stata la crescita degli sparkling wine e del Prosecco in primis, “the next big thing” potrebbe essere all’insegna dei vini rosati. Di cui l’Italia, dopo la Francia, è il più grande produttore del mondo ...
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