Sulla Terra è in corso una vera e propria emergenza ambientale: purtroppo la popolazione mondiale se ne sta accorgendo solo adesso, ma il clima sta cambiando, le temperature si alzano, il livello dei mari scende e fenomeni meteorologici disastrosi sono sempre più frequenti. La situazione è grave, ma forse ancora recuperabile: tutti possono contribuire a migliorare la situazione, ma chi si occupa di agricoltura ha forse un ruolo centrale. Almeno è di questo avviso Ettore Capri, professore di chimica agraria all’Università del Sacro Cuore di Milano, da sempre impegnato nella ricerca ambientale e membro di numerose commissioni e progetti di tutela ambientale nazionali ed europei, che, nel Forum wine2wine, ha spostato l’attenzione proprio sul ruolo che le aziende agricole e vitivinicole hanno (o possono avere) nella tutela dell’ambiente. “Agricoltura e vitivinicoltura sono da sempre pratiche legate e dipendenti dalla terra - spiega il professore - e per questo negli anni sono diventate custodi dei territori, della loro biodiversità e della loro unicità: per questo per salvare il Pianeta possono dare un grandissimo contributo”. Diversi studi dimostrano infatti che nel 2050 la situazione sarà molto grave: la popolazione mondiale si aggirerà intorno agli 8,5 miliardi, il 90% del suolo terrestre risulterà degradato e la temperatura terrestre sarà aumentata di circa 1,8 gradi. In questo scenario, le regioni enoiche più importanti del mondo, dal Cile all’Italia, dalla Francia alla California, vedranno diminuire le aree coltivabili di una percentuale che varia tra il 25% e il 73% rispetto ad oggi.
Se è vero che il discorso sulla sostenibilità si affaccia adesso sul mercato generale, nel mondo del vino non è affatto un discorso nuovo: come ricorda Alberto Tasca d’Almerita, alla guida della celebre griffe enoica siciliana, tra i pionieri e capofila del progetto “Viva”, “la discussione sulla conversione ad un’agricoltura sostenibile è partita negli anni Novanta proprio dal vino. E funziona, perché la sostenibilità è un’insieme di strategie aziendali che deve tenere conto anche dei risvolti finanziari, della responsabilità sociale e dell’impatto ambientale”. Quando si parla di azienda sostenibile infatti non si parla per forza di vino biologico, biodinamico o vegano: “il vino sostenibile non esiste, esiste una filiera produttiva sostenibile” precisa Ettore Capri. E a quanto pare in Italia il lavoro di oltre due decenni ha portato risultati tra i consumatori: i dati di Nomisma Wine Monitor, presentati dal professor Capri, aggiornati a ottobre 2018, sottolineano come per l’80% dei consumatori di vino italiani, la principale caratteristica della produzione enoica sostenibile è il rispetto per l’ambiente, motivo più importante per acquistarlo; per il 66% ha anche un prezzo maggiore, ma per il 39% anche una qualità maggiore. Insomma, il settore del vino sostenibile non è affatto un mercato di nicchia, anzi: nel mondo rappresenta già una fetta di mercato enoico importante, come negli Stati Uniti, dove rappresenta il 53% del totale, o in Brasile e Turchia, dove la percentuale arriva all’85%, fino all’India, dove il vino sostenibile rappresenta ben l’88% del mercato totale.
E allora il passo successivo è solo che le aziende si impegnino ad aderire a programmi di certificazione della sostenibilità, che come ricorda Ettore Capri “in Italia esistono dal 2010”. La sostenibilità è difficile da definire, perché è un concetto generico: la strategia produttiva si dovrebbe basare su misurazioni cicliche di indicatori che dimostrino il miglioramento del prodotto. Da qui parte la sfida di Viva, progetto di Valutazione dell’Impatto della Vitivinicoltura sull’Ambiente nato nel 2011 dal Ministero dell’Ambiente e Opera, che misura l’impatto ambientale di alcune aziende vitivinicole italiane sparse su tutto il suolo tenendo conto di 4 semplici indicatori: acqua, aria, territorio e vigneto. Le griffe che hanno aderito alla fase iniziale del progetto, e cioè Castello Monte Vibiano Vecchio, Gancia, Marchesi Antinori, Masi Agricola, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Planeta, Tasca d’Almerita e Venica&Venica, hanno messo a disposizione dei ricercatori dell’Università Cattolica di Milano, coordinati proprio dal professor Ettore Capri, i dati delle loro aziende, monitorate continuativamente e sempre migliorate.
“Il progetto in 7 anni si è sviluppato e diffuso in tutta Italia, arrivando all’integrazione con Sqnpi, il Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata, una serie di criteri di sostenibilità riconosciuto in Ue, che permette la crescita della rete di aziende che puntano alla sostenibilità. “Il fatto di eliminare delle sostanze chimiche in agricoltura - spiega Ettore Capri - come gli erbicidi che usiamo da decenni e decenni, riporta in vita il confronto e la discussione sulle alternative, fa nascere modi diversi di coltivare e riaccende il dibattito della comunità scientifica e agricola. Inoltre, proseguendo su questa strada in futuro non avremo nemmeno più bisogno di strumenti incredibili per dimostrare la provenienza di un vino, perché grazie alla sostenibilità - conclude - ogni vino avrà una riconoscibilità unica e non sarà copiabile da nessuno”.
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