Da tempo l'agricoltura è nell'occhio del ciclone, dal pericolo della "mucca pazza" agli organismi geneticamente modificati, ma l'accusa più grave che avanzano consumatori e cittadini è che goda di aiuti considerevoli e spropositati. Sotto accusa è la cosiddetta lobby agricola. Ma che cosa è questa lobby ? A questa domanda risponde il libro "La lobby agricola" (FrancoAngeli - pag. 229 - 18 euro) scritto dal professore universitario Antonio Piccinini e dal giornalista del "Corriere della Sera", Fabrizio Peronaci.
Un volume articolato e complesso che getta una nuova luce sul mondo della rappresentanza agricola in Italia, ridisegnandone la geografia, ricordandone le origini e indicando la strada intrapresa: il passaggio della Coldiretti, dal collateralismo di un tempo, teso a ottenere protezione sociale e sovvenzioni a favore della gente dei campi, a una politica sindacale moderna e spregiudicata. Tanto da avvicinarla a movimenti di tutt'altra ispirazione, come quello capeggiato in Francia dall'ex trotzkista Jose Bovè.
Tappe fondamentali di questo cammino il "patto" con il consumatore fortemente voluto dal presidente Paolo Bedoni, le esplicite prese di posizione contro gli organismi geneticamente modificati, la battaglia per la "rintracciabilita obbligatoria" dei prodotti. Una linea d'azione che ha rivoluzionato il mondo della rappresentanza agricola: i moderni eredi della Federazione nazionale dei coltivatori diretti, nata il 31 ottobre del 1944, oggi sono di fatto alleati con le frange estreme degli agricoltori no-global e le altre due confederazioni (Confagricoltura e Cia) procedono su posizioni più moderate e produttivistiche.
Piccinini e Peronaci ripercorrono la storia dei gruppi di pressione agricoli a partire dal secondo dopoguerra, mettendo in evidenza l'anomalia del sindacalismo agricolo in Italia che ha sempre preferito politiche di welfare rispetto a interventi mirati a favore delle imprese e delle produzioni. Un arco di tempo che va dall'epopea "bonomiana" (dal nome di Paolo Bonomi) con la Coldiretti che conquista un quasi monopolio della rappresentanza grazie all'alleanza simbiotica con la Democrazia Cristiana, alle tumultuose vicende del decennio 1990-2000 legate al crollo del vecchio sistema politico e al fallimento della Federconsorzi.
Proprio il crack della holding agroalimentare causato dalla gestione di Coldiretti e Confagricoltura viene considerato dagli autori l'evento chiave che ha rivoluzionato i rapporti tra sindacati agricoli: uno dei capitoli del libro analizza i lavori svolti dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul dissesto della Fedit che si sono conclusi nel 2001 e che hanno visto come protagonista il senatore Cirami (lo stesso della legge sul "legittimo sospetto"), nella veste di fustigatore non dei magistrati ma dei dirigenti delle due maggiori organizzazioni agricole.
Dalla storia alle conclusioni non troppo ottimistiche: "le lobby italiane - è l'opinione degli autori - danno l'impressione di non sapersi liberare dal loro vizio d'origine: continuano a restare in eterno equilibrio tra la contiguità con i palazzi della politica, che garantiscono loro la sopravvivenza assieme alla difesa di privilegi di un mondo rurale ormai in declino e l'adozione di linee produttivistiche ed imprenditoriali che però le obbligherebbero a scelte strategiche difficili. Nulla vieterebbe una fusione delle attuali rappresentanze in un'unica struttura, e questo rilancerebbe la discussione interna, ma la storia e i caratteri delle persone coinvolte impediscono di fatto questo processo; a meno che l'ampliamento della Unione Europea, con quello che comporterà in agricoltura, non spazzerà via ogni tentazione individualistica".
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