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IL MADE IN ITALY IN CINA CON I FRANCESI: LA CATENA TRANSALPINA AUCHAN PORTA “I SAPORI DELLE REGIONI” ANCHE IN ORIENTE (CON IL PATROCINIO DEL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE). “PERCHÉ C’È TANTA VOGLIA DI SAPORI ITALIANI, E NON IMPORTA CHI LI VENDE”

Italia
La francese Auchan porta l’Italia in Cina

Il mondo ha voglia di cibo e vino italiana, e se manca una distribuzione “made in Italy” poco male, per i produttori, perché per le grandi catene internazionali il tricolore in tavola è un marchio che tira e che vuol dire business. Lo sa bene Auchan, colosso della distribuzione Francese, presente in Italia da 50 anni, che esporta 750 cinquanta prodotti italiani in 11 Paesi del mondo, dalla Francia alla Russia, dalla Spagna a Taiwan. E che sta per lanciare anche in Cina (con il patrocino del Ministero delle Politiche Agricole, la presentazione domani a Roma) della sua linea “I sapori delle regioni”, progetto per la valorizzazione dei prodotti tipici italiani nel mondo, raccolti da 1.000 piccole e medie imprese dell’agroalimentare del Belpaese, che rappresentano il 30% dei fornitori complessivi italiani e con cui Auchan sviluppa il 18% del suo giro d’affari.
Il debutto in Cina è previsto per il 13 novembre all’Ipermercato Auchan di Shangai in Cina. E se ad aggiungere una testa di ponte per l’Italia nel Celeste Impero è una catena francese, poco importa. L’importante è che ci siano “mercanti” interessati a vendere il made in Italy e clienti vogliosi di comprarlo in tutto il mondo. Perché senza gli uni e gli altri non c’è mercato globale e, quindi impresa, sul territorio. Perché filiera corta e acquisti in azienda vanno bene, “ma senza mercanti non esiste economia, perché la frontiera è il mondo”, e non importa chi vende cibo italiano, “di cui c’è una voglia pazzesca ovunque”, che sia una catena “francese, americana o tedesca”, perché l’importante è che si venda il vero made in Italy, come hanno detto a www.winenews.tv, Oscar Farinetti (Eataly) e Fabio Sordi (Auchan). Secondo i quali l’orizzonte dei produttori italiani deve essere il mondo, “perché ad esempio - spiega Farinetti - nel nostro Eataly di New York chiuderemo con un +16% sul 2011. Ma i produttori, che sono bravi a produrre ma non a vendere, si devono fidare dei mercanti, che devono saper fare il loro lavoro. Va bene il punto vendita in azienda, ma è uno 0,5% del mercato mondiale che si può conquistare, ci sono praterie aperte per il cibo e il vino italiano”.
E se una grande distribuzione italiana non c’è, per i produttori, poco importa: “siamo una catena francese - spiega Sordi - ma per noi, come per tedeschi, americani, inglesi, quello che conta è vendere. E il prodotto italiano si vende bene, è richiesto ovunque, e anche per questo abbiamo messo in campo tante iniziative con il patrocino del Ministero delle Politiche Agricole. Con la nostra linea di vino, ad esempio, nel 2011 abbiamo esportato 1 milione di euro di prodotto, e nel 2012 già raddoppieremo. Un segno che la voglia di Italia nel mondo c’è ed è tanta”. E anche un’indicazione precisa: per il made in Italy agroalimentare l’orizzonte è il mondo, perché un’economia “curtense” che punti troppo sulla vendita diretta in azienda, da sola, va da sé, non può essere sostenibile.

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