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Il Presidente Usa Donald Trump mette al bando l’utilizzo della parola “climate change” da parte del Dipartimento dell’Agricoltura. Proprio lo stesso giorno in cui uno studio di 13 agenzie Usa dimostra il ruolo dell’uomo sul riscaldamento globale

“Quella che noi chiamiamo rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome”. Così la Giulietta della tragedia shakespeariana rifletteva sulla relativa importanza di un nome che, senza chi possa dargli un significato, non è altro che un nome. Il presidente Usa Donald Trump, invece, la pensa diversamente, memore, per quanto improbabile possa sembrare, della celebre lezione del regista italiano Nanni Moretti: “le parole sono importanti”. Non si spiega altrimenti la messa al bando, per i dipendenti del Nrcs - Natural Resources Conservation Service, una unità del dipartimento dell’Agricoltura Usa, dell’espressione “climate change”, ossia cambiamento climatico, invisa, secondo il quotidiano britannico “The Guardian”, al presidente americano, che preferisce l’uso di “clima estremo” quando ci si trova davanti a fenomeni naturali anomali. Inoltre, sono da evitare anche riferimenti alla “riduzione dei gas serra” e privilegiare quelli riguardanti lo sviluppo economico, in particolare delle zone rurali.

Peccato solo che la notizia, di per sé bizzarra, arriva in maniera beffarda proprio nello stesso giorno in cui un rapporto stilato da scienziati di 13 agenzie governative statunitensi denuncia i gravi effetti dei cambiamenti climatici, sottolineando che l’attività umana è una delle principali cause di questo sconvolgimento. La notizia, ripresa da tutti i principali media occidentali, arriva dal “New York Times”, che spiega come il rapporto sia ancora in attesa dell’approvazione dell’amministrazione Trump, notoriamente scettica, come il suo stesso Presidente, su questo tema, tanto che alcuni scienziati, citati dal quotidiano, dicono di temere che il testo venga soppresso. Secondo lo studio, la temperatura media negli Stati Uniti è cresciuta rapidamente e drasticamente a partire dagli anni Ottanta, tanto che gli ultimi decenni sono stati i più caldi degli ultimi 1500 anni. Migliaia di studi, condotti da decine di migliaia di scienziati, hanno documentato la realtà dei cambiamenti climatici, scrivono gli estensori del rapporto, secondo i quali “vi sono diverse linea di prova che dimostrano come le attività umane, specialmente le emissioni di gas serra, siano primariamente responsabili per i recenti cambiamenti climatici”.

Il rapporto cita le ondate di calore del 2003 in Europa e del 2013 in Australia come prove dell’effetto dell’attività umana sulle temperature estreme. Secondo i dati raccolti, tutto il territorio degli Stati Uniti è stato toccato dai cambiamenti climatici e le temperature medie cresceranno fra i 2,8 e i 4,8 gradi entro la fine del secolo a seconda del livello delle future emissioni inquinanti. Particolarmente allarmante è il riscaldamento climatico in Alaska e nell’Artico, che procede due volte più in fretta rispetto alla media globale, con conseguenze sul livello di innalzamento dei mari che pongono a rischio le comunità costiere.

Il rapporto fa parte del National Climate Assessment, un documento che va preparato ogni quattro anni, secondo quanto stabilito dal Congresso americano. L’Accademia Nazionale americana delle Scienze ha già firmato la bozza del rapporto e attende il via libera della Casa Bianca per pubblicarlo. Fra le entità che devono approvare il rapporto entro il 18 agosto c’è l’Epa - Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, ora guidato da Scott Pruitt, che si è più volte detto scettico sui cambiamenti climatici e le responsabilità dell’uomo, sposando così la linea del Presidente Trump, che ha già annunciato, più volte, la ferma intenzione americana di uscire dall’accordo di Parigi sul clima.

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