
Sull’export l’Italia ha fatto meglio della Francia, registrando nel 2024 un +6% in valore trainato soprattutto dagli spumanti (+9%), mentre Oltralpe i numeri dicono rispettivamente -2,4% (dopo già il -3% del 2023, ndr) e -6,5%. Sostanzialmente il Prosecco ha battuto lo Champagne: se le esportazioni del primo, infatti, sono salite dell’11% nell’ultimo anno, quelle del secondo sono calate dell’8%. Non solo. Negli ultimi dieci anni l’Italia è il Paese il cui export di vino è cresciuto di più tra tutti i competitor: +60% contro il +51% della Francia e il +33% della Nuova Zelanda. Numeri e dati che generano ottimismo per la filiera vinicola tricolore che sono stati resi noti, ieri al Vinitaly 2025 a Verona, nell’incontro “L’Economia del vino: Strategie, Sfide e Opportunità tra Europa e Competitività” di Confagricoltura per presentare il “Rapporto sulla competitività delle regioni del vino” n. 3, realizzato da Nomisma Wine Monitor in collaborazione con UniCredit.
In generale, a livello globale, dopo un 2023 che aveva visto l’import mondiale di vino contrarsi di oltre il 5% sull’anno precedente, nel 2024 il tanto atteso rimbalzo non c’è stato. E considerando i primi 12 mercati di import di vino (il cui peso sugli scambi mondiali supera il 60%), solamente quattro di questi hanno registrato crescite nelle importazioni a valore: Stati Uniti, Canada, Cina e Brasile.
In questo scenario l’Italia ha portato dunque a casa un risultato positivo, ma il report osserva: il 60% dell’export vinicolo tricolore si concentra in soli 5 Paesi, con gli Stati Uniti in testa e che valgono il 24% e su cui ora pende l’incertezza legata ai dazi del 20% imposti dal Presidente americano Donald Trump. Anche qui, in ogni caso e comunque la si veda, lo Stivale ha il primato: la Francia ha un indice di concentrazione (sempre rispetto ai primi 5 mercati di sbocco) del 51% (con un peso degli Usa del 20%), mentre la Spagna è al 48% (incidenza Usa dell’11%).
“La resilienza dimostrata dalle imprese vinicole italiane negli ultimi anni continua ad essere messa a dura prova oggi con i dazi di Trump - ha evidenziato Denis Pantini, responsabile Agrifood & Wine Monitor di Nomisma - una sfida che ci ricorda quanto sia importante diversificare maggiormente i mercati di sbocco, visto che i primi cinque concentrano ben il 60% del nostro export di vino”.
A livello nazionale, invece, il Veneto è la regione leader e vale il 37% delle esportazioni italiane, seguita da Toscana e Piemonte con il 15% entrambe. E insieme Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna valgono complessivamente l’80% dell’export tricolore. Per quanto riguarda, invece, le denominazioni, guardando al mercato principale degli States (che per l’Italia vale 1,9 miliardi di euro, in crescita del 10,2%) sono i bianchi del Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia a dominare con il 48% del proprio export che finisce oltreoceano, così come i rossi Dop della Toscana (40%) e del Piemonte (31%). E tra i mercati che nell’ultimo decennio hanno maggiormente aumentato gli acquisti di vino italiano, rispetto ad un tasso medio di crescita dell’export di vino italiano del 5% (Cagr 2014/2024), troviamo, tra quelli con tassi almeno doppi, Corea del Sud (+10% annuo), Polonia (+13%), Vietnam (+18%) e Romania (+20%).
Infine, una consumer survey parallela al report e condotta su 2.000 consumatori di vino negli Stati Uniti localizzati nei 3 Stati federati di maggior consumo (New York, California e Florida), che si è soffermata sul tema dei cambiamenti nelle preferenze gustative, racconta che il consumatore americano dichiara di fare più attenzione ai vini di qualità (33%), ricercare vini di differenti regioni e territori (28%), ma anche di prestare più attenzione alla salute, ad esempio acquistando vini rossi più leggeri e a minor contenuto alcolico, con l’aspetto “green” particolarmente attenzionato dai consumatori più giovani. Infine, tra il 65% della popolazione dei tre Stati federati analizzati che ha dichiarato di aver consumato vino nell’ultimo anno, 7 su 10 hanno bevuto vino italiano premiandone tradizione, varietà dei vitigni, qualità e “giusto prezzo”. Ragione, quest’ultima, ora sotto la lente d’ingrandimento di produttori, importatori, distributori, esercenti e consumatori stessi viste le tariffe doganali sulle merci europee, e quindi anche il vino italiano, fatte entrare in vigore da Trump.
“Gli agricoltori stanno affrontando da tempo difficoltà importanti: dall’aumento dei costi di produzione alle pressioni legate al clima e ora i dazi - ha ricordato Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura - garantire la nostra sicurezza alimentare deve essere la bussola dell’Europa, poiché la nostra sicurezza nazionale comune inizia proprio da lì. Il nostro auspicio è arrivare a un negoziato che riporti a una relativa normalità”.
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