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IL SEGNO PIÙ DAVANTI AI NUMERI DELLA DOMANDA DI VINO ITALIANO ALL’ESTERO NON BASTA A RISTABILIRE IL SERENO NEL CIELO DELL’ENOLOGIA DEL BEL PAESE. PER UNIONE ITALIA VINI E FEDERVINI 2010 ALL’INSEGNA DEL RISCHIO DI ESPORTARE SENZA GUADAGNARE

2010 all’insegna della buona crescita della domanda di vino italiano all’estero. A dirlo i dati Istat, Ismea, quelli di Federvini e, recentemente, anche quelli di Assoenologi. Ma, questi incoraggianti segnali non consentono ancora di lasciarsi andare a facili entusiasmi.

Secondo Assoenologi, il 2010 resta un anno di particolare delicatezza, “soprattutto per le realtà di piccola e media dimensione, strette da un lato dai costi crescenti e dall’altro da una bassa remuneratività dei mercati. Si prospetta, dunque, un anno denso di incertezze per questa tipologia produttiva, con un’ulteriore pressione sui prezzi e una parallela erosione dei già magri margini”.

Insomma, potrebbe esserci il rischio che, in molti casi, le vendite all’estero non significhino per le aziende dei profitti. Un problema che WineNews ha sottoposto anche al vaglio dell’Unione Italiana Vini e di Federvini, due tra le più importanti associazioni di categoria, che, diciamolo subito, concordano con l’analisi di Assoenologi.

Per Andrea Sartori, presidente dell’Unione Italiana (Uiv), il rischio è molto reale. “E’ vero che, dal punto di vista dei volumi, stiamo andando bene, +7% sul primo trimestre 2010, come esportazioni in volume, però, dal punto di vista dei prezzi medi abbiamo un ulteriore decremento, per cui stiamo esportando ma stiamo esportando peggio proprio dal punto di vista della remuneratività e dei ricavi. E’ logico che un’azienda di piccole dimensioni - prosegue Sartori - dove la copertura dei costi è molto più difficile e non c’è possibilità di economia di scala soffrirà maggiormente di questa situazione. Questo elemento di preoccupazione si aggiunge al fatto che i vini di fascia di prezzo più alta sono veramente in difficoltà. L’incrocio di questi due dati - conclude Sartori - conferma l’ipotesi di Assoenologi”. Per Sartori, la soluzione a breve termine a questa non piccola criticità risiede principalmente “nel trovare particolari sinergie soprattutto in aree non competitive per le piccole aziende dove magari unendosi, per esempio sulla logistica, piuttosto che su qualche fase produttiva come l’imbottigliamento, si possano trovare economie di scala. Credo che le piccole imprese vitivinicole saranno obbligate - conclude Sartori - a muoversi in questa direzione”.

Anche per Ottavio Cagiano, direttore generale di Federvini, il problema non è secondario ma, anzi, riguarda l’intero comparto, al di là della dimensione aziendale: “è un problema del settore vitivinicolo, perché in questi ultimi 2 anni, vendemmie particolarmente sostenute come costi, notevole incremento di tutto ciò che è legato all’energia, vetro prima di tutto, trasporti, rapporto di cambio sfavorevole, hanno creato una pesantezza che tocca l’intero settore. Ed è chiaro che le aziende meno solide - prosegue Cagiano - le aziende che non hanno avuto un respiro per poter far fronte a tutta questa ondata di pressione, si troveranno più esposte e, in questo scenario, le medie e le piccole, perché sono la più gran parte, statisticamente parlando, e rappresentano l’ossatura della nostra economia vitivinicola, sono le più numerose, ma non è una problematica che riguarda soltanto loro”.

Il direttore generale di Federvini vede all’orizzonte una serie di possibili strumenti per alleggerire questo quadro: “strumenti finanziari di aiuto per mitigare i termini di pagamento a cui il mercato, nella migliore delle ipotesi, risponde dopo 10 12 mesi, quindi strumenti finanziari per soccorrere le aziende che devono far fronte a questo “gap” temporale; assicurazioni e assistenza nella forma di mutui ad hoc e fideiussioni; favorire tutto ciò che va nella direzione della riduzione dei costi, da un maggiore coordinamento negli acquisti a consorzi per l’export, dall’assistenza professionale alla fornitura di studi e informazioni, insomma tutte quelle cose necessarie ma che una piccola o media azienda può recuperare sul mercato più difficilmente ed a maggiori costi”.

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