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Il sistema delle autorizzazioni, che entrerà in vigore dal 2016, ha più criticità che positività. Parola dei protagonisti del vino, dal workshop “Diritti di impianto e viticultura moderna: le criticità del nuovo sistema” di scena al “Wine2Wine”

Italia
Il sistema delle autorizzazioni dei vigneti porta più criticità che positività e non risponde ai bisogni italiani

Oggi, in Italia, sono in circolazione 50.000 ettari di diritti di impianto, dei quali il 93% in mano ai produttori, e il resto nelle riserve regionali: un regime che terminerà alla fine del 2015, e, al suo posto, verrà introdotto un meccanismo di gestione delle autorizzazioni per i nuovi impianti, che prevede una crescita annua limitata all’1% delle superfici vitati. A poco più di un anno dall’introduzione del nuovo regime, però, il sentiment del settore è tutt’altro che positivo, come emerge da “Wine2Wine” (www.wine2wine.net), il forum di Vinitaly di scena il 3 e 4 dicembre, a Verona, nel workshop “Diritti di impianto e viticultura moderna: le criticità del nuovo sistema”.

“La nuova regolamentazione - spiega Roberta Sardone (Inea - Istituto Nazionale di Economia Agraria) - avrà diverse similitudini con il sistema dei diritti: verrà mantenuto il principio della crescita controllata del vigneto europeo, confermando un carattere di eccezionalità all’interno dell’Ocm unica; il regime sarà comunque transitorio e non definitivo (2016-2030), e sarà oggetto di una verifica intermedia; in caso di espianto di un vigneto regolare, verrà rilasciata un’autorizzazione, non trasferibile; ci sarà la possibilità di un reimpianto anticipato, facendo coesistere i vigneti in via di espianto con quelli nuovi non ancora produttivi, per un massimo di 4 anni; il vigneto europeo continuerà ad essere monitorato, per capire le necessità cui rispondere”.

Le differenze più importanti, invece, riguardano il funzionamento del nuovo regime delle autorizzazioni, “che sostituiranno i diritti d’impianto, e saranno gratuite e non trasferibili; il problema maggiore - continua Roberta Sardone - è la totale mancanza di flessibilità: il vigneto di ogni Paese potrà crescere al massimo dell’1% del vigneto esistente, e le autorizzazioni non possono essere trasferite né da un produttore all’altro, né da una Regione all’altra. Il ruolo delle organizzazioni professionali è limitato alla definizione di raccomandazioni ed eventuali limitazioni”. La trasformazione dei vecchi diritti in autorizzazioni dovrà essere portata a termine entro il 2023, e le autorizzazioni devono essere sfruttate entro i 3 anni, pena il loro decadimento. Per quanto riguarda i criteri di ammissibilità, se le richieste non superano la fatidica soglia dell’1% vengono automaticamente evase, altrimenti, si può decidere se seguire un criterio di proporzionalità o di priorità, frutto di diversi criteri, oggettivi e non discriminatori (nuovi operatori, conservazione dell’ambiente, sostenibilità economica del progetto ...).

Tra le maggiori criticità del nuovo sistema, c’è l’incapacità di cogliere determinate peculiarità: nel nostro Paese, ad esempio, “una Regione come la Sicilia possiede quasi la metà di diritti di impianto, anche se il 50% di questi diritti, in tutta Italia, ha più di 4 anni. Il vincolo - spiega la Sardone - che non permetterà di trasferire le autorizzazioni tra privati, provocherà, inevitabilmente, un ingessa mento di tutto il sistema”.

Ma quali sono le criticità che si trova, effettivamente, ad affrontare il viticoltore? Le ha analizzate il professor Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia, convinto che “solo una piena liberalizzazione dei diritti d’impianto può rispondere alle reali esigenze del settore. Del resto, dal 2016, il viticoltore che espianta non avrà nessun vantaggio a farlo, perché con le autorizzazioni non ci sarà alcuna possibilità di monetizzare la dismissione. Non c’è alcun incentivo alla riconversione, e le società (ma non per le semplici aziende agricole, che non producono un bilancio, ndr) si troveranno ad affrontare una certa perdita patrimoniale”. Il viticoltore che decide di impiantare, invece, “avrà la gratuità delle autorizzazioni, ma la facilità di accesso sarà limitata ai soli 6.000 ettari l’anno previsti. I costi - spiega Frascarelli - si azzereranno, ma il rischio è che le autorizzazioni si rivelino insufficienti alle necessità, con i diritti che, da qui alla fin del 2015 aumenteranno in maniera esponenziale il proprio valore, a fronte, però, di una probabile riduzione del valore patrimoniale delle aziende dal 2016”.

Per il vigneto Italia, invece, i vantaggi della riforma saranno: “il mantenimento di una forma di regolazione, un maggiore orientamento al mercato, una riduzione dei costi di nuovo impianto, quindi maggiore competitività e l’allocazione della viticultura nei territori e nelle imprese più competitive”. Tra gli svantaggi, come spiega ancora il professor Frascarelli, “la rigidità e complessità del nuovo regime, che non consente di concentrare le autorizzazioni dove servono e in tempi brevi, da zone in crisi a zone in espansione, e non garantendo a Regioni, aziende e territori di crescere quanto potrebbero. Inoltre, c’è il rischio di erosione del vigneto Italia, con dismissioni maggiori dei nuovi impianti, e un altro fatto negativo è la scomparsa delle “riserve”, che fungono da centri di raccolta delle autorizzazioni non richieste a seguito di espianto”. Così, se il viticoltore vuole crescere, non potrà fare altro che rivolgersi al mercato, acquisendo vigneti o aziende esistenti, o accaparrarsi i diritti d’impianto da qui al 2015, o “accontentarsi” delle possibilità di crescita previste dal regime delle autorizzazioni. Anche la politica, però, “deve fare la sua parte, ed ha le sue responsabilità evidenti: a livello comunitario - conclude Frascarelli - le incertezze e le difficoltà del nuovo sistema delle autorizzazioni fa rimpiangere la liberalizzazione totale, e allora diventa probabile un cambiamento in corsa nella revisione a medio termine della Pac, nel 2018. A livello nazionale le cose vanno meglio, perché la scelta di permettere la commercializzazione dei diritti di impianto senza vincoli regionali è positiva”.

Dal punto di vista dei produttori, la riforma ha “più vizi che virtù”, come racconta Paolo Castelletti, direttore generale Unione Italiana Vini (Uiv). “L’1% previsto non sarà sufficiente alle necessità di crescita del vigneto Italia, e poi l’impossibilità del trasferimento delle autorizzazioni e la rigidità della normativa rendono tutto più difficile. Partiamo, del resto, da una posizione particolare: l’Italia perde tra l’1,3% e l’1,5% del proprio potenziale viticolo ogni anno, e i 46.000 ettari di diritti che le aziende hanno in portafoglio, hanno mediamente più di 4 anni, adesso andranno trasformati in vigneti, ma senza la possibilità di trasferire le autorizzazioni si perderanno molti dei vecchi diritti”. Per il mondo produttivo, “esistono diverse proposte che l’Ue potrebbe accogliere per migliorare la situazione: criteri di assegnazione più semplici, orientati al mercato e flessibili. Molto importante - conclude Castelletti - che l’assegnazione sia a livello nazionale, così da evitare la frammentazione, meglio se l’assegnazione fosse pro-rata, proporzionale al numero delle richieste delle aziende, evitando valutazioni soggettive”.

Molto meno “diplomatico” il punto di vista del giornalista e Master of Wine spagnolo Pedro Ballesteros Torres: “questa è una legge che non difende un diritto, ma un privilegio, che tutela chi ha il vigneto, non l’industria del vino del Paese. È figlia della paura di liberalizzare davvero il settore e quel che ne è venuto fuori è un inutile compromesso. Non permette ai giovani che vogliono investire nel vino di farlo, e non si capisce perché in un Paese come questo, che liberalizza settori come quello dell’acqua, si continui a proteggere quello del vino. E poi, se non si permette al mondo del vino di modernizzarsi, rischiamo di perdere il consumo giovanile: con il messaggio trito e ritrito della tradizione non si va da nessuna parte, bisogna garantire al vino la giusta dose di libertà. Il vino, del resto, è il prodotto del sogno, del piacere e dell’innovazione, bisogna che sia libero”.

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