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IL “SOGNO AMERICANO” FA I CONTI CON LA REALTÀ: L’EXPORT DEL WINE & FOOD VALE 3 MILIARDI DI EURO ALL’ANNO. MA ORA LA FOOD & DRUG AMMINISTRATION AMERICANA PUÒ FARE CONTROLLI AGGIUNTIVI NELLE AZIENDE ITALIANE “A CARICO DEL PRODUTTORE”

Non Solo Vino
Export made in Italy in Usa, un piatto da 3 miliardi di euro

Il “sogno americano” vale molto per l’Italia dell’agroalimentare, che negli Stati Uniti esporta vini, salumi, formaggi e tanto altro, per un valore che si aggira sui di 2,8 miliardi di dollari all’anno. Ma non tutto oro è quel che luccica: lo sanno bene le aziende che esportano i loro prodotti in Usa, districandosi in un labirinto di carte, scartoffie, certificazioni, permessi e altro ancora. E, in questo senso, nel 2012 arriva una nuova “mazzata”: con il “Food Safety Modernization Act”, trasformato in legge dal Barak Obama nel gennaio 2011, i funzionari della Food & Drug Administration potranno fare ispezioni negli stabilimenti delle aziende che esportano in Usa. Ergo, anche negli stabilimenti italiani. Cosa peraltro che in alcuni casi già avviene. La novità importante, infatti, riguarda il costo dei controlli, che potrebbe mettere in crisi molte imprese, soprattutto medio piccole. Il meccanismo è questo: se al primo controllo tutto è a posto, non ci sono spese. Ma se venissero trovate delle non conformità, gli ispettori torneranno a visitare lo stabilimento una seconda volta per verificare che siano state sanate secondo i requisiti americani, e in quel caso ci sarebbe da pagare le spese sia della prima che della seconda “visita”. E il costo è fissato in 325 dollari all’ora per ispettore. Il che vuol dire circa 25-26.000 dollari per un’ispezione di 10 giorni. Un rischio impensabile da correre per tante pmi che esportano tra i 100 e i 200.000 dollari in Usa. Spesa che, peraltro, viene addebitata non direttamente all’azienda, ma agli “agenti” in Usa, rappresentanti (che possono essere singoli professionisti o società) di cui le imprese straniere che esportano alimentari negli States si sono dovute obbligatoriamente dotare con l’entrata in vigore del “Bioterrorism Act” dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York del 2001. E che hanno fatto le loro rimostranze per questo cambiamento di “status”, che li vede passare da semplici “indirizzi” in Usa dell’esportatore, a responsabili dei pagamenti per le ri-ispezioni degli stabilimenti in Italia. Il rischio concreto è che molti, per non correre il rischio, rinuncino all’incarico e, di conseguenza, tante aziende potrebbero ritrovarsi a non poter esportare negli States finchè non troveranno qualcuno disposto ad accollarsi il rischio. Ma per Daniele Rossi, direttore di Federalimentare, serve attenzione ma senza allarmi: “studieremo attentamente la norma - spiega a WineNews - ma le ispezioni dovrebbero avvenire solo se si presentassero non conformità in dogana, e non a tappeto. E confido che il buon senso prevalga, c’è sempre stata buona capacità di dialogo tra Italia e Usa. Certo, potrebbe essere una misura di “protezionismo mascherato”. Ma abbiamo già vissuto fatiche commerciali di questo tipo, e non ci spaventano”.

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