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Il Transatlantic Trade & Investment Partnership spacca l’Europa in due: favorevoli e contrari a confronto il 23 maggio a Ferrara, al Festival Altroconsumo, per scoprire se, tra rischi e vantaggi, sui diritti e sul cibo si possa, o meno, trattare

Di Ttip, o meglio Transatlantic Trade & Investment Partnership, in Italia non si sente parlare granché, eppure, l’accordo di libero scambio, su cui Usa ed Europa stanno trattando da mesi, potrebbe rivelarsi un vero e proprio spartiacque. Con i suoi lati positivi ed i suoi aspetti contraddittori, che rischiano di mettere in discussione le prerogative ed i poteri dello stesso Parlamento Europeo. Di Ttip, però, i Governi ne parlano, eccome, così come i diversi comparti produttivi del Belpaese, compreso, ovviamente, quello dell’agroalimentare. Che, come detto, avrebbe molto da guadagnare da un accordo che mira al libero scambio, e quindi alla drastica riduzione dei dazi, specie in un periodo storico in cui è l’export il vero motore della ripresa. D’altro canto, il concetto di liberalizzazione degli Usa va al di là del superamento di dazi e barriere doganali, e punta anche ad accantonare, o perlomeno a mettere in discussione, il sistema di controlli europeo, unica vera tutela, semmai da rafforzare più che da indebolire, per le centinaia di prodotti tipici che, se finissero nell’enorme calderone del mercato globale senza alcuna “rete” di sicurezza, rischierebbero semplicemente di scomparire.
Un dubbio amletico, su cui i diversi punti di vista si confronteranno il 23 maggio, a Ferrara, al “Festival Altroconsumo” (www.festivalaltroconsumo.it), nel dibattito “Il Trattato Ttip: rischi e vantaggi. Sui diritti e sul cibo si può trattare?”. Da un parte i rappresentanti dei consumatori, Luisa Crisigiovanni, segretario generale di Altroconsumo, e Monique Goyens, direttore generale Beuc, dall’altra, Simone Crolla, managing director American Chamber of Commerce in Italy, Cinzia Scaffidi, vicepresidente Slow Food Italia, e Monica Di Sisto, vicepresidente Fairwatch, tra i coordinatori della Campagna Stop Ttip completano il panel dei soggetti a confronto, moderati dal giornalista Nicola Porro.

Focus -Le differenze legislative nel settore agroalimentare tra Usa e Ue
Principio di precauzione: se c’è un rischio molto elevato che un prodotto possa far male, in Europa, le autorità possono intervenire in attesa di accertamenti scientifici; negli States vige il principio praticamente opposto, per cui alimenti e procedure sono sicuri fino a prova contraria. Severità sulla filiera: nel nostro sistema la sicurezza deve essere garantita lungo tutta la filiera produttiva “from farm to fork” (dai campi alla tavola), con prerequisiti igienici per i produttori, tracciabilità del prodotto ecc.; il sistema Usa, invece, verifica per lo più la sicurezza del prodotto finito (ecco perché i trattamenti di igienizzazione chimica con la clorina sulla carne di pollo sono così diffusi, mentre in Ue sono proibiti).
Niente ormoni nella carne: in Europa è proibito somministrare ormoni al bestiame per farlo crescere di più, perché mancano sufficienti studi circa la loro sicurezza. Negli Usa invece è ammesso l’uso di queste sostanze che riducono i tempi di allevamento e quindi fruttano moltissimo alle imprese.
Meno antibiotici: negli allevamenti americani gli antibiotici possono essere usati in dosi maggiori, anche per far crescere di più gli animali. In Europa i limiti sono più restrittivi e l’uso è consentito solo per proteggere il bestiame dalle malattie.
Ogm senza etichetta: nell’Ue i prodotti che contengono più dello 0,9% di Ogm devono dichiararne la presenza in etichetta. L’informazione sulle confezioni non è obbligatoria mai, invece, negli Stati Uniti.
Le denominazioni d’origine non importano: cosa succederebbe se gli States potessero esportare i tanti prodotti che rubano il nome delle nostre 250 Dop e Igp (come ad esempio il “Parmesan” o il “Gorgonzola” prodotto in Illinois)? Per noi il nome deve restare garanzia della provenienza e della qualità degli alimenti.

Focus - Le critiche alla profittabilità economica del Ttip
L’accordo sposterà l’ago della bilancia verso gli standard europei o verso quelli americani? Difficile dirlo, anche perché tutte le sessioni del negoziato sono a porte chiuse, vengono rilasciate sporadiche comunicazioni ed è stato necessario l’intervento della Corte di Giustizia Europea per ottenere, a ottobre 2014, la pubblicazione delle linee guida delle trattative.
Oltre ai dubbi legati al sistema dei controlli, poi, è ancora tutta da dimostrare la profittabilità economica, almeno per i cittadini europei, del Trattato. Un accordo che impatterà sulla vita di oltre 800 milioni di persone e secondo i negoziatori favorirà l’economia di entrambe le parti, con un aumento del PIL dell’Unione Europea di circa 120 miliardi di euro l’anno (circa lo 0,5% di tutto il Pil Europeo) e di 90 miliardi per gli Stati Uniti (0,4% del Pil Usa). Per l’Italia le stime sono di un aumento di export di 2 miliardi di Euro all’anno, numeri che hanno convinto immediatamente il Governo ad appoggiare il Ttip.
Non sono dello stesso parere gli oppositori al trattato che portano a esempio lo studio della Tufts University del Massachusetts. I ricercatori del New England prevedono la perdita di quasi 600.000 posti di lavoro in tutta Europa, e una riduzione del reddito procapite, che varierà da Stato a Stato, compresa fra i 165 e gli oltre 5.000 euro che l’accordo costerà ai francesi. Sempre secondo lo stesso studio, il Ttip sarà a tutto vantaggio degli Usa: quasi 800.000 nuovi posti di lavoro e un aumento del reddito procapite di 699 euro.

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