02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2025 (175x100)

Il Ttip, l’accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti (oltre il 50% del Pil globale) procede, e temporeggiare non porterà frutti, anche per l’agroalimentare italiano. De Castro: “non si tratta di abbandonare tutele, ma di armonizzarne di diverse”

Italia
Paolo de Castro

Si è parlato spesso di quello che, nei fatti, sarebbe il più grande accordo di libero scambio del mondo odierno, ovvero il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) tra Ue e Stati Uniti (le cui economie, insieme, rappresentano quasi il 50% del Pil mondiale), anche per le ricadute sia positive che negative che potrebbe avere per lo sviluppo commerciale dell’agroalimentare tricolore. Ma non sempre lo si è fatto nell’ottica giusta, secondo gli europarlamentari Paolo De Castro ed Elisabetta Gardini, intervenuti oggi sul tema a Vinitaly. Il settore rappresenta solamente il 5% del totale del flusso degli interscambi coinvolto dal trattato, ma il dibattito è stato spesso troppo eurocentrico, oltre che talvolta viziato da qualche pregiudizio ideologico verso la controparte statunitense, anche nello stesso Parlamento Europeo.

“Stiamo parlando di Stati Uniti d’America - ha sottolineato De Castro, membro della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue - ovvero di un Paese di 350 milioni di abitanti, con una capacità di spesa pro capite ragguardevole e degli standard sanitari e di precauzione che non sono inferiori a quelli italiani o europei, ma semplicemente diversi. Quindi non si può inquadrare il tema come se implicasse degli allentamenti alle nostre rigidità in tema di salvaguardia della salute e del principio di precauzione, dato che in verità è solo un’armonizzazione di rigidità diverse”.

Ma il punto principale della questione, secondo Gardini, membro della Commissione Ue per l’ambiente, è il fatto che il Ttip, pur con le sue enormi dimensioni, non è il principale accordo che occupa il dibattito politico statunitense, dato che a dominarlo è il suo equivalente sul versante del Pacifico, il Tpp. “Di questo mi sono resa conto parlando con il capo-negoziatore americano, ed è stato anche questo a farmi cambiare idea sul Ttip, e sulla necessità di portarlo in porto prima che il potere negoziale dell’Europa diminuisca, come conseguenza della firma del Tpp”. Chiudersi su se stessi, in buona sostanza, non può e non potrà portare a risultati positivi, perché il mondo si sta facendo sempre più piccolo, e anche se le tipicità europee, e quindi soprattutto italiane, godono di un’unicità irripetibile, non è rifiutando il confronto che si possono dare ai produttori le giuste possibilità, e questo sia dal punto di vista commerciale che da quello della tutela delle denominazioni e dei prodotti.

L’esempio del Canada, da questo punto di vista, è paradigmatico, perché è stato proprio a valle dell’avvio dell’accordo commerciale con il Paese che i produttori di Prosciutto di Parma, nonostante il fatto che nel Paese sia valido un copyright sull’omonimo canadese, hanno avuto la possibilità di combattere ad armi pari con i colleghi d’oltre Atlantico. Non tanto sul marchio, ma sul mercato, vale a dire mostrando ai consumatori la differenza tra l’originale e l’omonimo: ed è questa, secondo De Castro, la strada giusta anche per combattere l’“italian sounding”. Dal di fuori, d’altro canto, è molto più difficile cambiare le cose, specialmente in un mercato come quello a stelle e strisce.

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025

Altri articoli