Lo schema di Decreto Ministeriale in materia di etichettatura e presentazione dei vini, il cui obiettivo dichiarato è andare a colmare alcune lacune in termini di corretta informazione al consumatore, in applicazione dei regolamenti Ue in materia, e la cui ultima versione è aggiornata al 2022 (ma ancora in attesa di definizione e approvazione) consentirebbe, tra le altre cose, di indicare nelle descrizioni dei prodotti (quasi sempre in retroetichetta, ndr) i nomi dei vitigni che compongono i blend nei vini a Denominazione, come previsto dai disciplinari. Niente di strano, se non fosse che in Italia, se molte Denominazioni sono indicate in maniera esclusiva dal loro riferimento geografico, come Chianti, Valpolicella, Chianti Classico, Barolo, Franciacorta, Alto Adige, Soave, Bolgheri, Colli di Luni, Frascati, Costa d’Amalfi, Torgiano, Sicilia e così via, per citarne alcuni, altre hanno il nome del vitigno come parte costituente, come Primitivo di Manduria, Verdicchio dei Castelli di Jesi, Cannonau di Sardegna, Sagrantino di Montefalco e, in particolare, Montepulciano d’Abruzzo. E, proprio la filiera del vino abruzzese, guidata dal Consorzio Tutela Vini Abruzzo, e rappresentata anche da Confagricoltura, Confcooperative, Lega Coop, Coldiretti, Copagri, DAQ Vino, Assoenologi e Cia-Agricoltori, si oppone sull’utilizzo del Montepulciano, che vorrebbe tutelato ed utilizzabile in maniera esclusiva per i vini prodotti nel territorio (come già previsto, per esempio, per Cannonau di Sardegna, Albana di Romagna, Erbaluce di Caluso, Sagrantino di Montefalco ed altri), consentendo a chi ha legittimamente piantato ed utilizza il vitigno Montepulciano di indicare, come avviene in altri casi, il sinonimo (come succede, a rovescio, con la varietà Calabrese, che in Sicilia, viene chiamata Nero d’Avola per i vini Dop e Igp provenienti da uve raccolte nella Regione Sicilia). “Per noi rischia di diventare un problema e un danno grave, ma è un discorso che potrebbe riguardare anche altre denominazioni”, sottolinea a WineNews il presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, Alessandro Nicodemi.
Ad essere contestato, in particolare, è “l’articolo 16, che con la sua approvazione rischia di compromettere una delle più grandi denominazioni di vino rosso fermo italiano, il Montepulciano d’Abruzzo, che ormai, da molti anni, supera i 100-120 milioni di bottiglie prodotte e vendute in tutto il mondo”, spiega una nota del Consorzio, che, insieme alle altre rappresentanze della filiera, ha sottoscritto un documento che sarà inviato, nei prossimi giorni, alle autorità regionali e nazionali ed alle organizzazione di filiera, “poiché la proposta di una sorta di “liberalizzazione indiscriminata” dell’uso dei vitigni in etichetta, senza nessuna eccezione, come previsto invece per altri vitigni e sinonimi, porterebbe un danno incalcolabile non solo in termini economici, ma anche di comunicazione creando una vera distorsione di mercato, ottenendo l’effetto opposto alla ratio della norma”.
Perchè il testo, così come è formulato, “recherà a tutte le denominazioni-vitigno che sono un patrimonio unico della nostra enologia nazionale, un danno incalcolabile sia sotto il profilo economico che di comunicazione andando in palese conflitto con il prezioso e tutelato made in Italy, il cui valore è dettato proprio delle nostre ambite “biodiversità” enoiche”.
La presenza del vitigno Montepulciano in terra d’Abruzzo, ricorda il Consorzio, risale ad oltre due secoli: qui, grazie al particolare microclima della regione, ha trovato le migliori condizioni per vegetare e produrre vini di grande valore. La denominazione “Montepulciano d’Abruzzo” nata nel 1968 come denominazione-vitigno e come tale riconosciuta e tutelata in deroga, negli anni è diventata un colosso della enologia non solo regionale, ma anche nazionale e come tale deve continuare ad essere protetta.
“L’utilizzo di un sinonimo garantirebbe sia la corretta informazione al consumatore - principio condiviso e da rispettare - sia il patrimonio storico delle denominazioni-vitigno”, aggiunge Nicodemi. “Dobbiamo difendere il lavoro di centinaia di operatori che per decenni hanno investito e continuano ad investire importanti risorse sulla promozione e sull’affermazione nei mercati internazionali del vino a Do più prestigioso dell’enologia regionale, il Montepulciano d’Abruzzo, da sempre legato in maniera indissolubile ad un vitigno (Montepulciano) e al nostro territorio che, se non adeguatamente tutelati, rischiano di essere “banalizzati” ed utilizzati da altri operatori solo per “meri fini commerciali”, a danno del radicamento storico e territoriale da tutti unanimemente riconosciuto”. A questo proposito il Consorzio, già in data 10 marzo 2023, aveva richiesto al Ministero dell’Agricoltura il reinserimento del sinonimo “Cordisco” per il vitigno “Montepulciano” nel Registro Nazionale Varietà delle Viti, “già presente nel registro cartaceo del 1988, e poi scomparso senza motivo nella trasformazione a digitale”, spiega il presidente Nicodemi a WineNews, al fine di tutelare la denominazione di origine protetta “Montepulciano d’Abruzzo” e per essa il termine/nome di vitigno “Montepulciano” da usi impropri del medesimo.
“È corretto voler informare il consumatore, ma, al tempo stesso, si possono tutelare le denominazioni che hanno il nome del vitigno nel loro nome, legato alla storia, senza danneggiarle”, conclude il presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, Alessandro Nicodemi. Una vicenda, questa, che si svilupperà nei prossimi mesi, visto che in autunno, pare, lo schema di decreto tornerà in Conferenza Stato-Regioni, dove servirà l’unanimità che, “rebus sic stantibus”, ovviamente, non ci sarà.
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