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IL VINO DEGLI ANTICHI FENICI RIVIVE GRAZIE A TASCA D’ALMERITA: LA FONDAZIONE WHITAKER HA SCELTO LA STORICA CANTINA SICILIANA PER LA GESTIONE DEI VIGNETI SULL’ISOLA DI MOZIA

Italia
Alberto e Giuseppe Tasca d’Almerita

Il vino degli antichi Fenici “risorge” dalle sue ceneri: la Fondazione Whitaker, che tutela il patrimonio paesaggistico e culturale dell’isola di Mozia, perla storico-culturale del Mediterraneo, ha scelto la cantina siciliana Tasca d’Almerita per la gestione dei vigneti sull’isola. L’Isola di Mozia, in totale 40 ettari nella punta estrema nord-occidentale della Sicilia, vicino a Trapani, rappresenta uno dei più importanti insediamenti fenici nel bacino del Mediterraneo. Fondata alla fine del VIII secolo dai Fenici, come punto strategico per il controllo delle rotte commerciali nel Mediterraneo, Mozia conserva un valore inestimabile, per l’entità dei reperti archeologici che ancora custodisce.
Nei primi anni del Novecento, l’isola fu acquistata dall’inglese Joseph Whitaker, attratto dal suo patrimonio storico e archeologico. Qui creò un Museo e l’omonima Fondazione, a cui oggi è affidata la gestione dell’intera isola. Ente morale patrocinato dall’Accademia Nazionale dei Lincei, la Fondazione Whitaker persegue lo scopo di incrementare le attività culturali, lo studio e la diffusione della civiltà fenicio-punica, che ha nell’Isola di Mozia uno dei centri più significativi.
Un aspetto fondamentale nella storia dell’isola è la sua tradizione vitivinicola. Già nel 1875 Mozia era coperta di vigneti, quegli stessi che oggi Tasca d’Almerita si impegna a valorizzare, creando un vino che esprima l’unicità della terra da cui proviene. La famiglia Whitaker per qualche tempo si dedicò alla cura del vigneto, finché non decise di dare priorità agli scavi archeologici. Nel 2007 la Fondazione Whitaker decide far rinascere la tradizione vinicola e di affidarne il compito a Tasca d’Almerita, una delle famiglie più rappresentative del mondo del vino.
Dedita da metà ‘800 alla vigna, Tasca d’Almerita ha anticipato il successo internazionale e l’interesse "mediatico" di cui oggi godono la Sicilia e i suoi vini, sfruttando le enormi potenzialità della Tenuta Regaleali. Il successo continua attraverso sette generazioni, sempre in crescita, sino ad oggi, con Alberto e Giuseppe Tasca d’Almerita. Come nella migliore tradizione vinicola europea, sullo stile degli chateaux francesi, la famiglia è impegnata e presente, dal lavoro nei campi alla cantina. Oggi questa esperienza è messa a frutto per far rivivere un vino che nasce da un territorio unico. 13 ettari di vigneto, di cui 3 risalenti all’antica proprietà Whitaker e 10 reimpiantati dopo anni di esperimenti, con la supervisione dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino e la consulenza di Giacomo Tachis, tra i tecnici più accreditati del settore. Qui nascerà l’etichetta firmata Tasca d’Almerita e prodotta a Mozia: un Grillo che arriverà sul mercato alla fine di aprile 2008.

La storia - Il vigneto sull’Isola di Mozia
Il primo impianto del vigneto di uva Grillo a Mozia è probabilmente da far risalire all’inizio dell’Ottocento, quando gli Inglesi, giunti a Marsala, intuirono quanto le condizioni del suolo e del clima di questa zona fossero favorevoli alla produzione di un vino in concorrenza al Madera e al Porto, di cui si rifornivano le flotte inglesi. Non è da escludere che anche in precedenza vi fossero vigneti, anche se non esistono documenti.
Certamente, con il passaggio dell’intera proprietà dell’isola a Giuseppe Whitaker, appartenente ad una famiglia inglese la cui fortuna era dovuta anche al commercio del vino Marsala, la coltura della vite venne mantenuta. Per quel che riguarda la possibile presenza di vigneti sull’isola all’epoca fenicia e punica, quindi in un periodo compreso tra il VII e il IV sec.a.C., non esiste alcun tipo di documentazione.
Nell’antichità (inizi primo millennio) il vino di Canaan (Fenicia, odierno Libano) era rinomato e nei culti delle divinità dell’area siro-palestinese era sempre presente una libagione di vino, conservato nelle cantine all’interno dei templi in anfore o grosse giare. Probabilmente si trattava di un vino molto dolce o speziato.
In Sicilia, per il periodo in questione, le testimonianze archeologiche o epigrafiche sono, per ora, presenti solo nell’area della Sicilia orientale colonizzata dai Greci e non possiamo dire se le anfore rinvenute a Mozia, di produzione locale o prodotte in altre località fenicie, contenessero vino.
La coltivazione del vigneto nel corso del XX secolo avveniva con l’utilizzo di mezzadri, i quali portavano a terra la loro parte di raccolto servendosi di carri che percorrevano l’antica “strada sommersa” che i Fenici costruirono nel VI sec.a.C. per collegare l’isola alla terraferma.
Alcuni dei nomi dei mezzadri sono rimasti ad indicare i campi da loro coltivati o i magazzini da loro occupati (“Marino”, “Passalacqua”…) mentre altre zone hanno nomi legati alla loro estensione (“dodici tummoli”) o alla forma del fondo (“la vela”). Ovviamente i lavori agricoli contribuirono alla messa in luce dei resti della città antica di Mozia. In particolare, da un appezzamento di terreno situato al centro dell’isola, concesso in mezzadria ventennale ai fratelli Lipari negli anni ’20 del secolo scorso, proviene, tra le altre cose, un bellissimo bruciaprofumi di bronzo a testa femminile.
E’ anche vero però che gli scavi archeologici, a volte, hanno anche contribuito a migliorare la conoscenza sulla successione degli impianti dei vigneti, come nel caso della “Zona A”, dove è stato possibile individuare sia le buche per vigna realizzate negli anni ’20 del secolo scorso sia un impianto sottostante, relativo ad un vigneto precedente.
Oltre ai magazzini nei campi, ancora esistenti, era presente sull’isola una cantina posta nel centro abitato, realizzata utilizzando una vecchia casa colonica, costruita sui resti e con i resti degli edifici dell’antica città di Mozia. Negli anni successivi al secondo dopoguerra l’accresciuta produzione richiese un ulteriore edificio, costruito contiguo al primo, nel quale furono collocati tre silos in cemento.
Negli anni Settanta del ‘900 alcune zone di vigneto (soprattutto quelle situate nella parte sud dell’isola) a causa di un periodo di siccità, seccarono e non vennero sostituite e si arrivò, alla fine del secolo scorso ad avere solo circa tre ettari, su di una superficie complessiva di circa quaranta, coltivati a vigneto. Parallelamente si interruppe la vinificazione sull’isola e i due edifici della cantina si trasformarono in magazzini, ricettacolo di oggetti dismessi.
Proprio in questi due magazzini, nel corso di lavori di ristrutturazione degli edifici di Mozia, nell’eseguire un controllo delle fondamenta della vecchia cantina, sono venuti alla luce i resti di due isolati dell’antica città, con materiali databili tra l’inizio del VII sec.a.C e la metà del IV sec.a.C.
Si è quindi deciso di musealizzare l’area archeologica, conservando solo uno dei tre silos in cemento come testimonianza dell’attività svolta in quei locali per circa quarant’anni.
Nel 1999 la Fondazione Whitaker, con il parere favorevole della Soprintendenza Beni Culturali Ambientali di Trapani, ha avviato il progetto di reimpianto del vigneto, che oggi occupa una superficie complessiva di 10 ettari.

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