02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

IL VINO DEL FUTURO TRA SALUTE, ISLAM, NUOVE FILOSOFIE PRODUTTIVE, UNA CRITICA E UNA COMUNICAZIONE PIÙ VICINE AL GRANDE PUBBLICO: ECCO LE PROSSIME SFIDE DELL’ITALIA ENOICA ... STANDO ALMENO AL CONVEGNO DEL “PORTO CERVO WINE FESTIVAL” (6-8 MAGGIO)

Salutismo, proibizionismo e Islam: ecco, secondo Giovanni Negri, produttore in Piemonte ma anche giornalista e scrittore, alcuni temi cruciali con cui dovrà fare i conti il vino di domani. “C’è il rischio che il vino, per l’affermarsi di un pensiero unico dominante tra salutismo e proibizionismo alcolico - dice a www.winenews.tv - diventi simulacro negativo di tutti i mali (fisici e sociali) dell’abuso di alcol. Colpendo, di fatto, tutti quelli che bevono il loro bicchiere a pasto, mentre i ragazzini in discoteca si sfasciano con qualunque cosa”. Il bicchiere di vino, da positivo portatore di gusto e di valori buoni, può diventare nell’opinione comune, “negativo” come la sigaretta. “Passasse un pensiero unico dominante, non ci sarebbe da stupirsi se il vino diventa dealcolizzato e il Barolo un rosé”.
Ma c’è un’opportunità “inesplorata”, il mondo dell’Islam: “se da un lato crescono fondamentalismi e precetti integralisti, dall’altro alcune cose, come il divieto di bere alcol, sono ormai come il “niente sesso fino al matrimonio” per i cattolici, rispettate da un’esigua minoranza. Ecco perché bisogna guardare all’Islam non solo come potenziale mercato, ma, forse, in futuro, anche come produttore. Nell’antichità da tanti dei territori oggi islamici si è diffusa la coltura della vite”.
Argomenti di scena al “Porto Cervo Wine Festival”, dove, con Antonio Paolini (guida dei “Vini Buoni d’Italia”, Touring Club) e Bruno Gambacorta (Tg2 - Eat Parade), si è discusso del “vino nel 2020”. Si chiede meno alcol e più natura. Ma la produzione “bio” non è possibile ovunque con la stessa qualità, ha spiegato Michele Bernetti (Umani Ronchi, una delle cantine più importanti dell’Italia del vino), che produce “tradizionalmente” nelle Marche, e nel segno del bio in Abruzzo “perché lì è possibile, e abbatte anche i costi, anche se aumenta il rischio di annate meno buone. Il vantaggio sul mercato? Solo su alcuni più sensibili ai temi dell’ecologia”.
Stesso discorso per la solforosa “che per certi vini di pronta beva si può ridurre o eliminare, per altri no” per l’enologo Roberto Cipresso. “Più che una soluzione, non esportabile agli altri vini, e comunque fragile e responsabilizzante per la filiera che distribuisce e vende il prodotto - spiega Cipresso - è un messaggio. Uno di quelli che danno al vino la suggestione, di cui vive e vivrà. Specie il nostro, se vuole arrivare in salute al 2020. Quando faremo i conti con consumatori che daranno per scontate molte cose, dalla parola “qualità”, ritenuta un primo gradino, allo sforzo di eco-compatibilità. Noi abbiamo storia e argomenti, perfino un’uva di Venezia ritrovata, il cui vino va bevuto guardando o sognando tramonti su San Marco. Ultimo suggerimento, tornare agli “incroci sessuali”, da seme per la vite, cui una vita da talea senza sesso toglie vigore e salute”.
Ma di cambiamenti deve farne anche la critica enologica, come ha spiegato Giancarlo Gariglio, curatore di Slow Wine, la guida senza punteggi di Slow Food. “Il vino del 2020 - spiega - sarà più buono perché è migliorato il campo, la vite. Ma incombe un rischio, il crollo pilotato dal mercato della bottiglia “qualsiasi”, del prezzo/valore delle uve, che potrebbe affossare proprio gli esiti di questo Rinascimento italiano, rendendo utopia tutto ciò di cui si parla”. E le guide, secondo Gariglio, devono andare oltre la fase, che pur è stata importante, della “dipendenza” dai punteggi di Robert Parker o altri grandi guru, cambiare metro di giudizio. Perché non esiste “un” vino, ma “i” vini del 2020, tanti quanti sono e saranno i segmenti del mercato vinicolo. Non solo i Paesi e gli appassionati di lunga data, ma anche i più o meno nuovi luoghi di produzione e di consumo “ con cui va giocata una parte della partita dell’export, un po’ in gara e un po’ seducendoli. Ma parlando inglese, e non pretendendo di insegnargli tutto perché “noi siamo l’Italia”.
E anche la comunicazione deve staccarsi dai linguaggi criptici, come ha spiegato Alessandro Regoli, direttore e fondatore di WineNews. “Va recuperato il ruolo del vino come compagno della tavola. Anche in tivù, basta bicchieri che girano in primo piano. Più storie, più racconti. Più vita. E una critica italiana che sappia accreditarsi all’estero dove oggi conta poco, o nulla”.

La relazione - Winenews, un vino più “comunicativo”
Trovare nuovi linguaggi e nuovi modi di consumo per tornare protagonista della quotidianità del consumatore comune, e continuare a crescere in qualità e in fascino per accontentare sempre di più gli appassionati più esperti e preparati. Utilizzando tutti i canali comunicativi possibili, internet in primis. Ecco la sfida di oggi e di domani del vino italiano, e non solo, in un mercato sempre più grande e complesso.
Una sfida che non deve rinnegare il recente passato, in cui il vino, con un grande lavoro di comunicazione e di educazione del consumatore è stato elevato da semplice alimento a prodotto più “nobile”, ma che ora rischia di essere un freno. E una sfida che non può non passare anche e soprattutto da internet, che ormai conta 2 miliardi di utenti nel mondo, 420 milioni in Cina, 240 milioni negli Stati Uniti e 30 milioni in Italia (dati: www.internetworldstats.com), e dove i social network (Facebook ha superato i 500 milioni di utenti, Twitter sfiora i 200 milioni), e la connessione in mobilità la fanno da padrone: l’utilizzo della rete da dispositivi come cellulari, smartphone e simili, entro il 2013, in Europa, secondo le previsioni di Forrester Research, dovrebbe triplicare, superando i 125 milioni di utenti, il 38% dei possessori di un telefonino.
Un accesso a servizi e informazioni, dunque, sempre a portata di mano dell’utente, e che per il vino rappresenta un potenziale enorme, anche considerato che i costi per agire bene sulla rete non sono proibitivi, e che le realtà vinicole italiani, nella stragrande maggioranza piccole cantine, non hanno la forza economica per investire sui mass-media tradizionali. Anche perché è soprattutto sul web che si informano e si intercettano i giovani e i giovanissimi di oggi, che saranno i consumatori di domani.
Ma se questo è il canale, o uno dei canali, che le cantine italiane stanno lentamente capendo di dover sfruttare meglio di quanto fatto fino ad oggi, poi c’è l’aspetto del contenuto. E una delle parole chiave di oggi e dell’immediato futuro potrebbe essere quella di “versatilità”, come lo è stata negli ultimi 20 anni “territorio”.
Il vino, in generale, per incarnare la “versatilità”, deve affrancarsi da quei riti e da quei linguaggi complessi e tecnicistici che sicuramente, in passato, ne hanno aiutato il cammino di evoluzione da mera bevanda a prodotto culturale, ma che ora, con una società e una socialità in continua metamorfosi, rischiano di fargli addirittura danno, contribuendo ad allontanarlo dalla quotidianità. Il che non vuol dire buttare via il bambino e l’acqua sporca, ma intercettare le nuove esigenze del consumatore, sia in Italia che all’estero. Quindi, bene che rimangano momenti in cui si fa cultura del vino, specializzazione, approfondimento, ma potrebbe essere un bene anche se il vino, anche quello di qualità, per esempio, inventasse o riscoprisse una diversa “ritualità” che guardi soprattutto a una maggiore semplicità di narrazione e consumo. Nei modi e nei luoghi.
Ancora, se il vino di qualità è diventato sinonimo di lusso, o meglio di piccolo lusso quotidiano che in tanti possono ancora permettersi, è il concetto stesso di lusso che sta cambiando: dal lusso del possesso a quello dell’esperienza. Anche la grande bottiglia non deve essere più un cimelio o un simulacro da tenere solo per un’occasione speciale che poi non arriva mai: è fatta per essere bevuta e condivisa con amici e persone care. Questo non vuol dire che non debbano più essere presi in considerazione dei vini “icona”, o dei vini “mito” che, però, sono molti meno di quello che si vorrebbe far credere. Ma solo ritornare a pensare, e a dire, che il vino è fatto in primo luogo per essere bevuto e goduto, poi per essere studiato, conosciuto e apprezzato più a fondo.
Insomma, bisogna ritrovare un approccio più “friendly” e accattivante, per conquistare anche solo a livello superficiale chi oggi al vino non è neanche interessato. Anche perché bisogna tenere conto che il vino italiano non ha concorrenti solo negli altri Paesi produttori, siano essi storici come la Francia, o del Nuovo Mondo. Il vino, soprattutto per il target dei giovani, deve fare i conti con tante bevande che di certo hanno meno storia, tradizione, qualità e via dicendo ma che, alla prova dei fatti, hanno un “appeal” più efficace. Se ai produttori spetta il compito di innovare il prodotto vino senza snaturarlo, a chi fa comunicazione, insieme a loro, tocca quello di trovare nuovi linguaggi, riscoprire categorie comunicative che riportino il vino ad essere un compagno quotidiano e sano nella vita di tutti i giorni.
Ben vengano grandi etichette e grandi millesimi nella mezza bottiglia, ben venga la diffusione del vino al bicchiere in ristoranti, osterie, enoteche e wine bar, che però va gestita in termini di qualità, ovvero offrendo una selezione di prodotti ragionata e non “la bottiglia avanzata”, anche perché la tecnologia lo permette, e penso alle macchine di wine dispenser e simili per la mescita che tutti conoscerete, e ricaricando il giusto. Ma, essere versatile, per il vino, vuol dire anche porre una rinnovata attenzione al consumo domestico, visto che quello “fuori casa”, sia per via dei controlli sulle strade che di una stretta economica che costringe i consumatori a ottimizzare le risorse, nel 2010 è sceso del 14%. Quindi, versatilità, non ce ne vogliano i titolari di ristoranti, enoteche e winebar, vuol dire cominciare a pensare a diversi canali di distribuzione anche per i vini di altissimo livello, ancora difficili da trovare, per esempio, nella gdo, che vende ormai il 65% del vino in Italia.
Versatilità, per il vino, può anche voler dire innovazione di prodotto: senza abbandonare o dimenticare la tradizione, che pur sarà sempre un riferimento importante per produrre e narrare il vino italiano, perché non aprire di più a sperimentazioni di coltivazione dell’uva, che possono diventare anche momenti di comunicazione rivolti ad un pubblico più ampio, e non solo agli appassionati di vino, sempre più sensibile a temi come la tecnologia applicata al rispetto delle ambiente; e così vale per le pratiche di cantina, per l’innovazione di prodotto, dal vino stesso ma anche nel packaging e nei materiali utilizzati per tappi e contenitori secondo quello che certamente vuole la cantina, ma anche secondo quello che chiedono i mercati d’Italia e del mondo.
Anche perché se i consumi interni, per esempio, come sostengono alcuni, sono scesi a 40 litri procapite, è forse il caso di riflettere se il calo sia tutto dovuto alla congiuntura economica, all’etilometro, al fatto che un pasto, quello di mezzogiorno, è praticamente saltato nella sua forma tradizionale, o se anche il prodotto vino, che nel complesso è certamente cresciuto in qualità, non sia andato in una direzione diversa da quella che avrebbero voluto i consumatori.
E in questo le bollicine forse posso essere d’esempio: unica tipologia che vede aumentare sensibilmente i consumi, sia interni che all’estero, con prodotti dai gusti sempre più identificabili ma eterogenei, hanno saputo aprirsi spazi di consumo nuovi, non più legati alla celebrazione o alle festività di fine anno, diventando sempre più protagoniste dell’aperitivo come del pasto completo, tanto nei locali che nel consumo domestico. Versatilità, ancora, può voler dire anche aprirsi a conoscere e comprendere il mondo, e non pretendere che il mondo debba per forza conoscere e comprendere noi: se nei mercati asiatici, per esempio, si capisce che i consumatori, abituati a certi tipi di cucina diversissimi dal nostro, ma non per questo meno “degni”, vogliono certi tipi di vino, magari più dolciastri, per esempio, non ostiniamoci a voler imporre per forza certi vini in Paesi in cui, magari, il consumatore nuovo, quella “middle class” emergente che promette grandi possibilità di sviluppo, non riesce a leggere neanche l’etichetta.
Insomma, versatilità per il vino di domani vuol dire riappropriarsi di alcune categorie del suo passato, ovvero la quotidianità, la semplicità di consumo e la complementarietà al cibo di ogni giorno, che in crescendo di valore e protagonismo ha forse un po’ smarrito, ma, senza rinunciare alle sue complessità di produzione e di narrazione rivolte a un pubblico non sempre preparatissimo e grandissimo, colga, con semplicità e disponibilità a capire quelle che sono le nuove opportunità offerte dai mercati del mondo, andando a sbarcare in quei luoghi di consumo che forse, fino ad oggi, ha guardato con una, forse inconsapevole, vena di snobbismo.

Flash - Winenews, il futuro del vino o il vino del futuro!
Il futuro del vino - 1
Il vino è prodotto culturale, storia, territorio, conoscenza. Ma i consumi, secondo molti calano, perché forse non è più protagonista della quotidianità della tavola, anche a causa dei mutati stili di vita che, di fatto, hanno visto saltare il classico pasto di mezzogiorno. Per riappropriarsi del ruolo che ha perso negli ultimi anni, il vino deve recuperare anche quella dimensione di piacere semplice, di convivialità, di compagnia del pasto e della chiacchiera quotidiana. Un percorso che deve ripartire dai giovani, perché non è vero, come si pensa, che a loro non interessa il vino, conoscerlo, apprezzarlo, cercare un consumo di qualità. Ma il vino deve imparare a parlare la loro lingua, perché solo puntando sui giovani il trend di consumo può tornare ad essere positivo in futuro.
Il futuro del vino - 2
Il vino deve puntare sull’educazione dei consumatori, partendo dai giovanissimi, anche perché solo così può rimarcare quel confine che lo divide dal resto dell’alcol, che si parli di alcol-pops o superalcolici, con cui ha poco da spartire, ma a causa del quale si trova vittima di una crociata proibizionista che, puntando giustamente a combattere gli di un problema di abuso di alcol che comunque esiste, finisce per colpire chi cerca nel semplice bicchiere di buon vino il naturale e tradizionale complemento al pasto, concezione diametralmente opposta a quella del bere per sballo. Andando anche nei variegati luoghi di aggregazione giovanile, “spacciandolo”, in senso positivo, magari in abbinamento con altri prodotti di qualità del cibo italiano.
Il futuro del vino - 3
Il vino di domani, deve affrancarsi da quei riti e da quei linguaggi complessi e tecnicistici che sicuramente, in passato, ne hanno aiutato il cammino di evoluzione da mera bevanda a prodotto culturale, ma che ora, con una società e una socialità in continua metamorfosi, rischiano di fargli addirittura danno, contribuendo ad allontanarlo dalla vita di ogni giorno delle persone. Il che vuol dire intercettare le nuove esigenze del consumatore, sia in Italia che all’estero, e trovare linguaggi che non scadano nel banale, ma che siano più vicini all’uomo qualunque, e non accessibili solo agli esperti e agli appassionati, dove va bene “degustazione”, ma anche “bevuta”. Quindi, bene che rimangano momenti in cui si fa cultura del vino, specializzazione, approfondimento, anche perché una fetta dei consumatori è effettivamente interessata a saperne di più su quello che beve e su dove e da chi viene prodotto, e che rimanga la distinzione tra un vino grandissimo, magari da collezione e veramente da stappare in momenti unici e irripetibili anche con una certa ritualità, ed un vino comunque buono o ottimo ma a cui avere un approccio più “friendly”, da utilizzare in diverse occasioni, magari anche nella quotidianità di un pasto.
Il futuro del vino - 4
Il vino di domani deve guardare anche a nuove modalità di consumo. Ben vengano, allora, etichette di buona o anche ottima qualità nelle mezze bottiglie, che vanno incontro alle agli stili di vita (più attenti alla salute e alle calorie, per esempio), ai controlli sulle strade, ma anche al portafoglio; ben venga il “wine sharing”, ovvero la condivisione di bottiglie più o meno importanti tra tavoli diversi nei locali che alcuni stanno riscoprendo; ben venga la diffusione del vino al bicchiere, che però va gestita in termini di qualità, ovvero offrendo una selezione di prodotti ragionata e non “la bottiglia avanzata”, anche perché la tecnologia lo permette, vedi macchine Enomatic e simili per la mescita che tutti conoscerete, e ricaricando il giusto. Ben venga, ancora, l’offrire ai clienti di un ristorante la possibilità di portarsi le bottiglie da casa, magari facendo pagare qualcosa per il servizio, o l’opportunità di portarsi via la bottiglia non del tutto consumata.
Il futuro del vino - 5
Se il futuro del vino italiano passa anche, e soprattutto, dall’export, chi lo produce, lo vende e lo comunica, deve aprirsi a conoscere e comprendere il mondo, e non pretendere che il mondo debba per forza conoscere e comprendere noi: se nei mercati asiatici, per esempio, si capisce che i consumatori, abituati a certi tipi di cucina diversissimi dal nostro, ma non per questo meno “degni”, vogliono certi tipi di vino, magari più dolciastri, per esempio, non ostiniamoci a voler imporre per forza certi vini in Paesi in cui, magari, il consumatore nuovo, quella “middle class” emergente che promette grandi possibilità di sviluppo, non riesce a leggere neanche l’etichetta.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024