Il “Vino del Negev”, prodotto nella zona di Gaza, oltre 1.500 anni fa, era uno dei vini più pregiati e costosi dell’epoca bizantina. E ora, forse, aggiungendo un altro tassello al mosaico archeo-enologico che sta affascinando sempre di più appassionati e non, potremo sapere perché, visto che un team di ricerca dell’Università di Haifa, in collaborazione con la Israel Antiquities Authority, ha trovato una manciata di semi di uva carbonizzati nello scavo di Halutza.
“Le uve che si coltivano nella regione del Negev oggi sono varietà europee, perché le viti originarie sono andate perdute nel tempo. Ma dopo questo ritrovamento il nostro obiettivo è quello di provare a ricreare quel vino antico, e forse riusciremo a riprodurne il gusto e il sapore, e capire cosa lo rendesse così pregiato”, ha commentato il professor Guy Bar-Oz, direttore dello scavo per l’ateneo israeliano.
Per raggiungere l’ambizioso obiettivo si partirà dall’analisi del Dna dei semi di uva. E si guarda anche ad un aspetto potenzialmente pratico: “le varietà europee di uva che si coltivano oggi richiedono grandi quantità d’acqua, e anche in queste zone aride, in qualche modo, con la tecnologia, si riesce a provvedere - spiega Bar-Oz - cosa che difficilmente poteva accadere 1.500 anni fa. E forse il segreto della qualità di questo vino era nelle caratteristiche di un uva che, con il giusto metodo, riusciva a dare buoni risultati anche in condizioni di aridità”.
Un segreto che fa gole anche a molti produttori di oggi, soprattutto in zone come la Napa Valley, in California, per esempio, dove l’accesso alle risorse idriche sta diventando una questione critica”.
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