In un mercato come quello del vino, che a livello globale, più che di grandi rivoluzioni vive di piccoli aggiustamenti, la vera novità degli ultimi anni è il vino in lattina. Una nicchia, come ripetiamo spesso, che è ancora ben lontana dalla massa critica di qualsiasi altro formato, dalla bottiglia al bag-in-box, ma con tanti punti di forza. Per il consumatore, è semplice e leggera da trasportare, e si adatta alla perfezione alle occasioni di consumo fuori casa, moltiplicatesi negli ultimi 12 mesi, sull’onda lunga della pandemia di Covid-19. Non è un caso, ma semmai una conseguenza, che i più affascinati dal vino in lattina siano i più giovani (25-44 anni), ossia il target di chi passa più tempo tra locali e barbecue.
In generale, comunque, come ricorda Wine Intelligence, l’interesse tra i bevitori abituali di vino, è cresciuto in maniera sensibile. Se nel 2017 solo il 21% dei britannici ed il 33% degli americani prendeva in considerazione l’idea di comprare vino in lattina, la percentuale nel 2020 sale rispettivamente al 32% e al 42%. Segno che, piano piano, il vino in lattina non è più un tabù, almeno tra i più giovani. Una buona notizia anche per i negozianti, che hanno la possibilità di stoccare volumi importanti in minore spazio, usando un materiale riciclabile (così come il vetro del resto) e leggero, in un packaging decisamente più moderno e spesso più attrattivo della classica bottiglia.
Insomma, il vino in lattina ha tutto, o quasi, per sfondare. Il quasi è legato, perlopiù, ai limiti che emergono dal punto di vista dei produttori. Sei, secondo Wine Intelligence, sono i nodi che ogni azienda di vino dovrebbe sciogliere, prima di decidere di accettare la sfida del mercato e proporre una propria versione di vino in lattina. Non è solo lo stesso vino, ma in una lattina: considerati i fattori che possono influire sulla qualità del vino in lattina, i produttori dovrebbero valutare quali tipi di vino provare e poi proporre in questo formato. Un aspetto che dovrebbe anche considerare dal punto di vista del consumatore, che in genere consuma bevande frizzanti in lattina, servite fredde, e questo si traduce in una maggiore apertura per i vini rosati e per gli spumanti in lattina, o per i vini miscelati e frizzanti.
Bisogna quindi saper sfruttare l’onda lunga della premiumizzazione, perché i consumatori sono sempre più aperti alla possibilità di accettare un prodotto di qualità in lattina, a patto che sia ben chiaro che si tratta di un vino di un certo livello. Allo stesso tempo, anche la categoria dei “Ready-To-Drink” sta vivendo un momento di grande crescita, all’interno della quale il vino, seppur miscelato, può dire la sua. Non piacerà ai puristi, ma il Taylor’s Portonic (una tonica in lattina miscelata con il Porto bianco dello storico produttore di Porto) è un successo commerciale planetario. Chissà che, tra Sangria e Spritz, non si apra un mercato interessante anche per il vino.
I marchi del vino non devono avere paura di vedere compromessa la propria immagine: con la pandemia la fiducia nei brand, almeno in quelli più popolari ed amati, ha raggiunto livelli altissimi, per cui se un marchio del vino deciderà di buttarsi sul mercato del vino in lattina difficilmente subirà un impatto negativo, al contrario. Attenzione anche al canale distributivo, perché il vino in lattina è legato ad un consumo e ad un acquisto estemporaneo: al banco refrigerato di un supermercato, ad esempio, avrà con ogni probabilità maggiore successo che in un’enoteca. Infine, occhio al grado alcolico: il vino in lattina è un’ottima strada verso la tendenza del basso contenuto alcolico, specie se lo si immagina miscelato con altri prodotti, scendendo facilmente a 5 gradi, come la stragrande maggioranza dei “Ready-To-Drink”.
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