Che il mercato del vino, italiano e mondiale, sia in difficoltà, è fuor di dubbio, così come è fuori di dubbio, però, che il settore del Belpaese venga da un decennio (2014-2024) in cui i valori sono cresciuti costantemente, e l’export è raddoppiato, toccando il record di 8,1 miliardi euro nel 2024. E se alcuni elementi critici sono strutturali (dal climate change al mutamento dei consumi, anche per via del cambiamento demografico) e altri sono contingenti, come i dazi Usa (i cui effetti reali, a detta di tutti, si potranno misurare davvero solo nel 2026 con i nuovi listini), la ricetta per superare l’impasse e rilanciare i consumi è sempre quella: fare sistema, investire in promozione e comunicazione (come faranno Ministero dell’Agricoltura e Ice con una campagna sulle reti Rai e non solo sul valore culturale del consumo di vino), ed aprire nuove mercati senza abbandonare quelli consolidati. Messaggi dal convegno firmato dal Comitato Leonardo - Italia Quality Committe a Ca’ del Bosco, gioiello della franciacorta fondato dalla famiglia Zanella e di proprietà del gruppo Herita Marzotto Wine Estates della famiglia Marzotto, che ha visto sul palco Sergio Dompè, presidente Comitato Leonardo, Matteo Zoppas, presidente Ice, Gaetano Marzotto e Andrea Conzonato, presidente e Ceo Herita, Antonella Rossetti, membro del Comitato di Gabinetto del Commissario Europeo all’Agricoltura, e, ancora, i presidenti di Veronafiere Federico Bricolo, di Coldiretti Ettore Prandini, di Federvini Giacomo Ponti, e di Unione Italiana Vini - Uiv Lamberto Frescobaldi, e Paolo de Castro, presidente Nomisma, oltre al Ministro dell’Agricoltura, in collegamento da Roma, Francesco Lollobrigida, con la moderazione del vice direttore de “Il Corriere della Sera”, Luciano Ferraro.
E che hanno commentato l’indagine “Il vino italiano tra eccellenze e sfide globali” illustrata da Denis Pantini di Wine Monitor - Nomisma. Da cui è emersa la forza di un settore fatto da 30.000 imprese, 16 miliardi di euro di fatturato, 8,1 miliardi di euro di export e 74.000 occupati (il 16% del food & beverage), con una bilancia commerciale in attivo di 7,5 miliardi di euro (sui 3,2 di tutto il comparto agroalimentare), che vede la vigna tra le colture più redditizie (5.500 euro per ettaro, dietro solo alla frutta con 6.700 euro per ettaro), fondamentale per il mantenimento delle aree interne, anche grazie all’enorme indotto enoturistico. Una filiera fatta di grande biodiversità (i primi 10 vitigni coltivati fanno il 38% del totale, contro l’80% dell’Australia o il 71% delle Francia, per esempio), che è ricchezza, ma anche frammentazione, come è frammentato il sistema delle imprese, con le prime 100 per giro d’affari che rappresentano il 55% del fatturato ed il 65%. Un settore, quello del vino italiano, che è cresciuto tanto nel mondo, visto che nel 2014 si esportavano poco meno di 5 miliardi di euro e nel 2024 siamo arrivati a 8,1, con il vino italiano che 20 anni fa era leader in soli 9 mercati contro i 41 della Francia, mentre oggi i transalpini, che pesano per il 33% dell’export di vino mondiale, sono primatisti in 51 Paesi, con l’Italia al vertice in 46, con i vini del Belpaese che fanno il 22% del giro d’affari all’export. E questa è stata una risposta anche al calo dei consumi interni, dal 1995 ad oggi calati del 30%, a 23 milioni di ettolitri, con la metà della produzione (46 milioni di ettolitri, anche questa in calo), ma solo del -16% dai 55 del 1995, che finiscono nel mondo, anche se in maniera molto concentrata, visto che il 24% è rappresentato dalla locomotiva Prosecco. Nondimeno, però, anche se ancora di strada ce ne è da fare, è cresciuto anche il prezzo medio del vino imbottigliato, a 4,4 euro al litro (+41% in 10 anni), contro, però, i 7,8 euro al litro della Francia o i 5,5 euro al litro dell’Australia, per esempio. Un vino italiano che, venendo ad oggi, sembra tenere nelle esportazioni 2025 almeno fino a luglio (-0,9%, contro il -0,5% della Francia, il -1,8% della Spagna, il -4,3% del Cile, il -8,5% dell’Australia e addirittura il -29,2% degli Stati Uniti, per l’effetto dei contro dazi in Canada e Cina, principali mercati). E che vede un cambio nei suoi consumi interni, con spumanti (15,2%, quasi il doppio sul 2010) e bianchi fermi (39,6%, sostanzialmente stabili per quota di mercato), che hanno sopravanzato i rossi (oggi al 37,3% dal 43,9% del 2010), anche perché sono diminuiti di molto i consumatori quotidiani, che hanno nel vino rosso la categoria più consumata (32%). Con un consumatore odierno che, ha spiegato Pantini, guarda con maggiore interesse alla qualità, alla sostenibilità, ma anche a vini più freschi, meno alcolici e così via. Per un vino italiano che fai conti con alcuni mega trends: il cambiamento climatico, la crescita sempre più forte dell’innovazione tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale, ma anche il tema della geopolitica, con mercati emergenti che guardano sempre più all’Italia come Sudamerica, Est Europa e Sud Est asiatico.
“Il valore del vino in Italia è collegato ad un’eccellenza che è chiave per il nostro Paese. Non siamo solo tra i più importanti esportatori in volume - ha detto il presidente del Comitato Leonardo, Sergio Dompè - ma è quello che gira intorno al vino, la cultura, il saper fare, la tenuta dei territori legata alla vigna, che è importante. Il momento è delicato, gli imprenditori non devono mai dare per scontati i successi, anzi quando si hanno primati si deve lavorare di più per mantenerli. C’è competizione su qualità, prezzi e non solo, ma dobbiamo dire a istituzioni ed opinione pubblica che il vino è un patrimonio irrinunciabile e che va difeso e tutelato in tutti i modi”.
“Oggi nel mercato Usa - ha detto il presidente di Herita Marzotto Wine Estates, Gaetano Marzotto, che negli Stati Uniti possiede la cantina Roco Winery, in Oregon, ed importa direttamente i vini grazie ad Herita Usa - il vino italiano vive una grande sfida: il 15% di tariffe è concorrenza sleale di altri Paesi che non ce le hanno. Ci sono tanti altri mercati da conquistare, come il Far East e la Cina, ma si deve investire tanto, ed in questo senso il supporto dell’Ice è importante. Ma sono convinto che ce la faremo, il vino italiano è forte, c’è un fortissimo cambiamento nel consumo, il 2026 sarà un anno di “verifica”, ma dobbiamo crescere nel mondo, fare sistema come ha fatto la Francia, e il Comitato Leonardo, eccellenza del sistema, può aiutare le imprese”.
“Dobbiamo aprire mercati ancora non raggiunti - ha detto, dal canto suo, il presidente Ice, Matteo Zoppas - giocando di squadra, che nel vino è forte, sa lavorare bene, e oltre alle rappresentanze ha dalla sua Ice, Sace, e Simest, i Ministeri di Agricoltura e Made in Italy e Affari Esteri, il Tavolo Vino che abbiamo fatto a Palazzo Chigi, al quale la presenza del Presidente del Consiglio ha dato grande rilevanza, e Vinitaly. Il vino non passa un momento sereno, lo abbiamo visto anche a Vinitaly.Usa a Chicago, dobbiamo capire quali priorità darsi nel 2026 per tamponare in altre parti del mondo quello che sta accadendo in Usa, mercato insostituibile, tra dazi ed il cambio euro-dollaro che ci sta penalizzando”.
Un ruolo fondamentale lo giocherà anche l’Unione Europea, come ha ricordato Antonella Rossetti, membro del Comitato di Gabinetto del Commissario Ue all’Agricoltura Christophe Hansen. “Il Commissario Hansen è consapevole della crucialità del vino, un settore che ci sta particolarmente a cuore. Il vino italiano è un settore di eccellenza - ha detto Rossetti - ma a livello Ue attraversa delle difficoltà, il calo dei consumi è strutturale, la Commissione monitora, ma sappiamo che c’è un problema, soprattutto per i vini rossi. Abbiamo messo a punto il “Pacchetto Vino”, stiamo cercando di accelerare per approvare entro fine dicembre questo pacchetto di misure che non sarà risolutivo, ma che vuole dare la flessibilità ai Paesi per intervenire sull’equilibrio produttivo. Ci sono Paesi come Francia e Germania che spingono molto per la riduzione del potenziale produttivo (estirpando i vigneti, ndr), in Italia questa pressione è meno forte, da parte di Commissione e Commissario vogliamo trovare un equilibrio senza smantellare il patrimonio produttivo, dobbiamo riorientare la produzione alle esigenze del mercato senza disperdere il nostro patrimonio. C’è il tema del “no” o “reduced” alcol, vediamo cosa accadrà, ma non dobbiamo precluderci occasioni di mercato, con i consumatori che vanno verso vini più leggeri. Ovviamente c’è il tema export, sappiamo che l’accordo con gli Usa con i dazi al 15% non è ottimale, ma serviva per dare stabilità, addiamo dovuto sostenerlo anche dal punto di vista agricolo, seppur con delusione del settore vino e spirits che soffrono. Il mercato Usa è insostituibile per il vino, in particolare per quello italiano - ha aggiunto Rossetti - ma dobbiamo comunque aprirne di nuovi, in Sudamerica, dove speriamo nell’approvazione del Mercosur, in Asia, come in India, ma non solo. Gli accordi commerciali vanno di pari passo con la promozione, che va rafforzata, nel 2026 ci saranno 205 milioni di euro per la promozione dei prodotti agroalimentari, vino incluso, e lanceremo anche la campagna sul “Buy European” e sulla promozione di un sano stile di vita, di cui l’alimentazione è un pilastro”.
Promozione di cui uno dei top player è Vinitaly, come ricordato dal presidente Veronafiere Federico Bricolo: “come Vinitaly guardiamo con attenzione a quello che succede nel mondo e nel mercato, conosciamo le criticità in atto, ma la nostra visione non è pessimistica, siamo convinti che il problema del calo dei consumi, il problema dei dazi e non solo, sono comuni a tutti i Paesi produttori di vino, e penso che l’Italia, a differenza degli altri, ha più carte da giocare, perché abbiamo un modo di porci sul mercato diverso, siamo i primi nell’innovazione sul vino, nel presentare i nuovi prodotti al mercato, se solo pensiamo al Prosecco, e tante cantine stanno investendo su “low alcol”, sulle bollicine, ma non solo. Abbiamo una ristorazione diffusa nel mondo come nessun altro Paese, e i ristoranti italiani sono una rete capillare per il vino. Ma dobbiamo lavorare anche sul mercato interno, che resta il più importante. E lavorare contro chi strumentalizza il rapporto vino-salute con messaggi fuorvianti, e sui giovani”.
“Mai come oggi abbiamo la necessità di fare squadra - ha rilanciato il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - e di creare una rete che ci porti a conoscere sempre di più i mercati internazionali, senza perdere di vista quelli consolidati come gli Usa. Abbiamo chiesto a Bruxelles di lavorare ancora sui dazi nel prossimo mese per recuperare qualcosa. C’è il problema del cambio euro-dollaro, ma serve una visione di strategia, serve una rete. Serve che le nostre agenzie conoscano le necessità delle imprese, serve che in certi mercati nuovi si faccia cultura del prodotto per far capire la qualità del vino italiano, sapendo che nel mondo si piantano sempre più vigneti e che, quindi, anche in certi mercati ci sarà più prodotto “locale”. Anche le nostre ambasciate devono diventare luogo di rappresentanza non solo politica, ma anche economica e commerciale, sul modello francese, copiando chi è stato più bravo di noi. Il nostro dinamismo e la nostra resilienza ci aiuteranno - ha detto Prandini - la semplificazione della burocrazia aiuterà. Stiamo lavorando, per esempio, sul via libera ai droni in agricoltura in Finanziaria, che aiuterebbe molto a migliorare la tempestività e l’efficacia dei trattamenti in vigna. C’è poi il lavoro con Comitato Leonardo per la digitalizzazione, la lettura dei dati e l’utilizzo dei satelliti. Bisogna investire ancora in enoturismo per valorizzare i nostri territori, con le cantine che devono diventare centrali nell’esperienza enogastronomica, anche grazie ad una normativa che consenta di fare più attività e in maniera più semplice. Mi auguro anche che nella prossima Pac ci siano risorse dedicate al settore vitivinicolo, perché, oggi, nella riforma Ocm questo non è previsto, e noi sappiamo quanto è fondamentale avere risorse per andare nel mondo. Il mondo cambia velocemente, e l’Europa deve essere competitiva con il resto del mondo, investendo le giuste risorse”.
Un’Europa che, però, come ha ricordato il presidente Nomisma ed ex eurodeputato (nonché ex Ministro delle Politiche Agricole) Paolo De Castro, “oggi ha degli atteggiamenti che un po’ preoccupano. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha presentato un bilancio pluriennale ambizioso per il post 2027, ma che, di fatto, di fronte ad un aumento del bilancio Ue, a 2.000 miliardi di euro, taglia le risorse alla Pac del -25% (300 milioni di euro), e la cosa che lascia amarezza e di cui anche in questi giorni si discute a Bruxelles è la creazione di questo Fondo Unico, un unico calderone in cui ci sono Pac, Coesione Sociale, Pesca e così via, di fatto ri-nazionalizzando l’utilizzo delle risorse, in un momento in cui si vorrebbe più Europa. Dobbiamo lavorare per correggere questa impostazione di bilancio sbagliata”.
Come tante sono le cose da correggere, più in generale, come ricordato dal presidente Unione Italiana Vini - Uiv, Lamberto Frescobaldi. “Le oltre 500 tra Dop e Igp sono troppe? Sono tante, una ricchezza e una debolezza allo stesso tempo, una varietà che ci rende interessanti perché diamo più possibilità ai consumatori che sono sempre meno legati ad una sola tipologia di vino, ma dobbiamo anche fare “ombrelli” più grandi che tutelino le unicità. Oggi parliamo di espiantare vigne, ma, a volte, non abbiamo capito cosa vuol dire un vigneto: ogni persona gestisce massimo 6-7 ettari di vigna, è lavoro, sono famiglie che vivono, attenti a dire “togliamo il vigneto”. Ora ci sono tante difficoltà, è vero che ci sono i dazi - ricorda Frescobaldi - ma fino a ieri pensavamo alla Commissione Beca (Beating Cancer Plan) e a quella Envi (Salute e Ambiente), che ci hanno massacrato, dicendo che facevano male il vino, la carne e non solo. Questi problemi ce li siamo dimenticati, ma sono lì. L’Europa, che non è uno stato federale, ha barriere interne incredibili. Abbiamo la brutta abitudine di lavorare sull’urgenza, e spesso perdiamo la visione strategica”.
Ad analizzare la situazione anche il presidente Federvini, Giacomo Ponti: “dal 7 agosto, “finalmente” sappiamo che il problema da gestire è il “15%” di dazio in Usa, non c’è almeno più l’incertezza che abbiamo vissuto da marzo. Questo ha consentito quanto meno alle aziende di organizzarsi, si parla di un mercato da 2 miliardi di euro, quello Usa, insostituibile. L’obiettivo di tutti è non aumentare i prezzi al consumo, cosa difficile in una catena molto lunga, e con i dazi che danneggiano non solo le aziende italiane, ma anche o soprattutto le aziende del business in Usa. Sicuramente vedremo gli effetti di questi dazi nel 2026, i dati che abbiamo fino ad ora sono contraddittori perché nella fase pre-dazi le imprese hanno mandato tanti prodotti per fare stock. Ad ora non ci sono grandi effetti sul sell-out, l’inflazione è stabile, ma si vedranno sui listini 2026. Per il vino c’è, comunque, fiducia per il prossimo anno, se tutta la filiera fa la propria parte si possono evitare aumenti al pubblico, o, comunque, limitarli al massimo”.
Eppure la preoccupazione delle imprese è alta, come spiega Andrea Conzonato, ad Herita Marzotto Wine Estates, che in Usa ha anche una cantina, la Roco Winery, in Oregon, e importa direttamente i vini attraverso Herita Usa: “siamo molto preoccupati, non si è ancora capito dove sui dazi si andrà a parare, ancora lavoriamo con gli approvvigionamenti pre-dazi. Ci sono tre elementi forti: i dazi stessi che sono applicati sui prodotti Ue che valgono il 50% del mercato, mentre la metà del mercato la fanno i vini americani, e dobbiamo capire se i produttori Usa useranno questo vantaggio per conquistare quote di mercato o migliorare il loro posizionamento di prezzo. È difficile assorbire gli aumenti: distributori e negozianti hanno detto che ogni aumento dei prezzi lo riverseranno sul consumatore, quindi possono assorbirlo solo importatori e produttori, ma anche di questo si vedrà l’effetto nel 2026. La situazione è particolarmente preoccupante, la guardiamo ogni giorno, ma solo il tempo ci dirà qualcosa e probabilmente capiremo qualcosa di più verso il prossimo Vinitaly”.
Al di là delle dinamiche del mercato, resta sullo sfondo il tema del cambiamento climatico, come ha ricordato Marcello Lunelli, vicepresidente Ferrari Fratelli Lunelli. “Il riscaldamento del clima ci ha spinto a cercare zone nuove, territori nuovi, vini nuovi. Ma i catastrofisti che dicevano che certe zone vinicole sarebbero scomparse - ha detto Lunelli rispondendo a Ferraro - non si sono sbagliati, hanno solo sbagliato i tempi, i dati ci dicono che se non cambiamo qualcosa, le temperature medie aumenteranno, in qualche decennio. Si parla tanto di difficoltà del mondo del vino, ma dobbiamo parlare di valore, magari diminuendo la quantità. È difficile, ma programmabile. Ed io da produttore di Metodo Classico ho un sogno: vedere tutti i territori italiani che producono il Metodo Classico andare all’estero insieme per proporci come i migliori produttori di un metodo nobile e di un made in Italy ancora non conosciuto all’estero”.
A tirare le somme, il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: “il quadro è difficile, ma non lo guardo con pessimismo. L’Italia ha tanti record, è percepita come qualità a giusto prezzo nel mondo, e nel mondo del vino questo tema si è affermato negli anni. I dati confermano la crescita sui mercati internazionali. Il vino italiano è cresciuto in maniera costante negli ultimi anni, dobbiamo tenerne conto. Ci sono i dazi in Usa, sì, ma gli effetti si potranno valutare solo quando saranno scaricati a valle, oggi ancora reggiamo anche se ovviamente incide lo stoccaggio. Questo non vuol dire non doversi preoccupare, dobbiamo aprire nuovi mercati che ovviamente, però, non sostituiscono gli Stati Uniti. I dazi sono un tema, stiamo ancora spingendo con altre Nazioni per arrivare ad una revisione delle politiche tariffarie, ad oggi, però, ci sono e dovremo capire come ricadranno sulla catena di approvvigionamento e sui consumatori. In Usa pesa anche la riduzione del valore del dollaro, ma c’è anche il tema della riduzione dei consumi a cui si deve rispondere con l’aumento della qualità e del valore riconosciuto del vino italiano. Inoltre - ha detto Lollobrigida - stiamo sviluppando una campagna con Ice anche sulla Rai e altri canali, sulla comunicazione del consumo consapevole di vino, per raccontare questo prodotto nelle sue diverse declinazioni. Il vino non è solo un prodotto alimentare, ha una dimensione di patrimonio culturale, identitario, è capace attraverso la cura dei vigneti di tutelare territorio e lavoro, come racconta la storia della Franciacorta, dove lo scorso anno abbiamo portato i Ministri di 40 Paesi, e dove il vino in pochi anni ha portato bellezza e ricchezza”. Ancora, parlando delle tante misure allo studio, “l’estirpo dei vigneti non è una soluzione, ragioniamo semmai sul blocco degli impianti. Estirpare vuol dire rinunciare a manutenzione del territorio e non solo, è la strada ultima da percorrere, tenendo conto anche che le tendenze di consumo possono cambiare nuovamente. Dobbiamo fare rete, elevare la qualità tecnologica, comunicare meglio il prodotto, aprire nuovi mercati, potenziare le fiere come vetrina per mettere in contatto buyer e produttori. Sperando anche nel traino che potrebbe arrivare dal riconoscimento come patrimonio Unesco della cucina italiana - atteso a dicembre - di cui il vino è un gioiello”.
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