Difficoltà economiche e salutismo che frenano in consumi interni, il caos dazi e le crisi internazionali, tra guerre e non solo, che rallentano l’export, sintetizzano la complessità del mercato del vino di oggi. Un mercato in grande affanno, soprattutto per i vini rossi, e con le cantine italiane che hanno in pancia ancora una vendemmia intera, 43,6 milioni di ettolitri al 30 giugno 2025, secondo gli ultimi dati di “Cantina Italia” by Icqrf, mentre quella del 2025 si avvicina. E se ad alzare l’allarme, nei giorni scorsi, sono state le grandi organizzazioni di rappresentanza della filiera, da Federvini ad Unione Italiana Vini (Uiv), che più o meno esplicitamente hanno palesato il malessere del settore, esortando ad una riflessione anche sui sistemi di gestione di questa fase, riduzioni delle rese in testa, ma iniziando anche a ragionare di eventuali espianti, nei giorni scorsi, a WineNews, il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida si è detto disponibile a ragionare di misure di emergenza, ma quando questa sarà palese, perché, ipse dixit, tra le altre cose, “il vino italiano viene dal record delle esportazioni, e ci sono molti settori messi peggio”, invitando anche a verificare i dati.
Ma, intanto, regioni e denominazioni si muovono. Proprio, in queste ore, il Piemonte, una delle grandi regioni del vino italiano e tra le prime ad alzare l’allarme, soprattutto per alcune denominazioni, ha visto il Consorzio della Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, guidato da Vitaliano Maccario, inviare agli associati una circolare per il “monitoraggio giacenze per distillazione” per diverse delle denominazioni tutelate, partendo dalla consapevolezza che “gli scambi sono calati sia in volume che in valore come accaduto negli ultimi decenni solo in due occasioni: in coincidenza con la crisi finanziaria del 2008 e con l’emergenza Covid del 2020. Di conseguenza sono aumentate le giacenze ed il quantitativo di prodotto “invenduto” presente nelle cantine”. Nelle stesse ore, dalla Marche, arriva la notizia che l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini - Imt, guidato da Michele Bernetti, ha deciso, in assemblea, all’unanimità, di confermare lo stoccaggio per la Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi al 30 giugno 2026, “a salvaguardia del mercato e della denominazione”, inviando la richiesta alla Regione Marche. “Oggi più che mai le misure di contenimento dell’offerta diventano strategiche - ha detto il presidente Imt, Michele Bernetti - in un contesto già difficile su scala globale, i paventati dazi al 30% dell’amministrazione Trump rischiano di generare danni importanti non solo sul mercato americano, ma anche in quello continentale. La maggior disponibilità di prodotto potrebbe infatti generare un calo delle quotazioni in Italia e in Europa. Anche per questo la proposta Imt è stata accolta dai soci all’unanimità, ora servirà ragionare sul regime delle autorizzazioni di nuovi impianti”. Nel dettaglio, per il vino atto a divenire Verdicchio Castelli di Jesi Doc (resa massima pari a 140 quintali per ettaro), lo stoccaggio si attiverà a partire dai 110 quintali, con un bloccaggio fino a 30 quintali per ettaro. La misura, valida fino al 30 giugno del prossimo anno, salvo proroghe o mutate condizioni di mercato, si lega a una vendemmia che si preannuncia con volumi medio-alti. L’elasticità del dispositivo permette perciò di intervenire in maniera coerente rispetto alla situazione di incertezza che sta investendo il vino su scala globale. Sarà infine possibile riclassificare il prodotto stoccato senza alcun vincolo. Lo scorso anno, secondo l’Osservatorio sulle denominazioni - spiega l’Imt - il Castelli di Jesi si è reso protagonista del sorpasso della quota export rispetto alle vendite in Italia, con una quota a volume export oriented del 51,2%. Le destinazioni, nel 76% dei casi, sono quelle europee, ma raddoppia lo share dei mercati asiatici - Giappone in primis - che ora valgono il 12% delle spedizioni e superano quelle verso le Americhe (11,3%). A valore, Regno Unito, Paesi Bassi, Usa, Germania e Svezia sono i principali sbocchi. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc conta, oltre alla denominazione omonima, altre due tipologie, il Classico e il Superiore. In totale si contano circa 2.200 ettari per una produzione media di poco inferiore ai 200.000 quintali di uva, con le ultime due vendemmie posizionate attorno ai 150.000 quintali. Si imbottigliano circa 13 milioni di bottiglie e oltre il 90% della denominazione certificata viene poi imbottigliato.
Una strada, quella scelta dalle Marche per il Verdicchio dei Castelli di Jesi, già percorsa anche dalla più grande denominazione bianchista d’Italia, quella del Pinot Grigio delle Venezie, gigante da 27.000 ettari di vigneto e 230 milioni di bottiglie all’anno. Il Consorzio guidato da Luca Rigotti, ha deliberato, nei giorni scorsi, la riduzione della resa massima di uva per ettaro, che passa da 180 a 170 quintali, e confermato la misura dello stoccaggio amministrativo, già adottata negli ultimi anni come strumento per governare l’offerta e dare equilibrio al mercato: per la campagna 2025/2026, il prodotto libero potrà, quindi, raggiungere i 150 quintali di uva per ettaro, mentre fino a 20 quintali/ettaro potranno essere destinati a stoccaggio.
Ma anche in Toscana, tra le altre, si inizia a discutere di distillazione e non solo (come abbiamo raccontato qui), dopo una mozione inviata, nei giorni scorsi, al Consiglio Regionale Toscano da membri del Gruppo Consiliare di Fratelli d’Italia, che ha chiesto alla Regione un confronto con le organizzazioni di categoria per valutare la necessità di misure urgenti come vendemmia verde, distillazione di sostegno, ma anche di estirpazione “volontaria” per incentivare la scomparsa dei vigneti meno vocati (con una riunione in materia andata in scena nei giorni scorsi, con l’assessore all’Agricoltura della Regione Toscana, Stefania Saccardi che ha raccolto le istanze della filiera regionale, che saranno discusse poi in un prossimo tavolo a livello nazionale). E con i dati di Avito, l’associazione che riunisce i consorzi del vino della regione (che, in questi giorni, ha visto il cambio al vertice, con Andrea Rossi, che è succeduto a Francesco Mazzei, ndr) che dicono, come nel primo semestre 2025, il “Granducato” abbia immesso sul mercato 948.583 ettolitri di vino (-2% sulla prima metà 2024).
Tutto questo mentre il Chianti Docg, la più grande Dop rossista della regione (3.600 ettari e 75 milioni di bottiglie vendute ogni anno, ndr), che ha confermato alla guida del Consorzio Giovanni Busi, ha stabilito anche per il 2025 il taglio delle rese nella misura del 20%, e chiesto alla Regione Toscana di congelare il meccanismo di concessione di autorizzazioni a nuovi impianti di vigna dell’1% all’anno (pari a 600 ettari annuali per la regione) per i prossimi 5 anni.
Tessere di un mosaico quanto mai complesso, quello del vino italiano, oggi, a cui con ogni probabilità se ne aggiungeranno altre da tanti territori, più o meno blasonati, di tutto il Belpaese. Perché se da un lato sarebbe sbagliato gridare alla “catastrofe”, è fuor di dubbio che il settore, in Italia, ma così come in Francia e in tanti altri grandi Paesi produttori, sia alla prese con una crisi congiunturale e strutturale allo stesso tempo, probabilmente tra le più complesse della sua storia recente.
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