Il volume d’affari complessivo dell’agromafia è salito a 14 miliardi di euro nel 2013, con un aumento record del 12% sul 2011, in netta controtendenza alla fase recessiva del Paese, perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi. È la preoccupante fotografia scattata dalla Coldiretti, commentando la positiva operazione della Dia che ha portato alla luce le rilevanti attività economiche dell’organizzazione mafiosa che fa capo al clan dei Galatolo, legate al mercato ortofrutticolo e al suo indotto.
“Una operazione che conferma come la criminalità - ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - sia attiva dall’intermediazione dei prodotti alimentari al trasporto, dallo stoccaggio nei mercati fino all’acquisto e all’investimento nei centri commerciali, con pericolosi effetti sulle tasche degli italiani e sul reddito delle imprese agricole, con rincari anomali dei prezzi e aumento dei costi. L’impegno per la legalità contro le agromafie significa difendere una parte importante del lavoro, dell’economia e del Made in Italy, ma anche la salute dei cittadini”. Un’indagine conoscitiva dell’Antitrust, spiega una nota di Coldiretti, ha evidenziato che i prezzi per l’ortofrutta crescono in media di tre volte dalla produzione al consumo, ma i ricarichi variano del 77% nel caso di filiera cortissima (acquisto diretto dal produttore da parte del distributore al dettaglio), del 103% nel caso di un intermediario, del 290% nel caso di due intermediari, fino al 294% per la filiera lunga (presenza di 3 o 4 intermediari tra produttore e distributore finale).
La moltiplicazione delle intermediazioni, l’imposizione di servizi di trasporto e logistica, il monopolio negli acquisti dai produttori agricoli provocano non solo l’effetto di un crollo dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli, che in molti casi non arrivano a coprire i costi di produzione, ma anche un ricarico anomalo dei prezzi al consumo che raggiungono livelli tali da determinare un contenimento degli acquisti. I punti più sensibili per le infiltrazioni malavitose sono costituiti dai servizi di trasporto su gomma dell’ortofrutta da e per i mercati; dalle imprese dell’indotto (estorsioni indirette quali ad esempio l’imposizione di cassette per imballaggio); dalla falsificazione delle tracce di provenienza dell’ortofrutta (come la falsificazione di etichettature: così, prodotti del Nord-Africa vengono spacciati per comunitari); dal livello anomalo di lievitazione dei prezzi per effetto di intermediazioni svolte dai commissionari mediante forme miste di produzione, stoccaggio e commercializzazione, secondo la Direzione Nazionale Antimafia. Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno infatti la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Potendo contare costantemente su una larghissima e immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale. Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio made in Italy.
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