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IL “WINEFUTURE” SARÀ SEMPRE PIÙ “SOCIAL”: MA PRIMA PER CREARE RELAZIONI TRA CANTINE E CONSUMATORI, E SOLO DOPO PER BUSINESS. PERCHÉ LA RETE AUMENTA A DISMISURA IL POTERE DEL “PASSAPAROLA”, CHE DECIDE IL 70% DEGLI ACQUISTI. COSÌ I “GURU” DA HONG KONG

Italia
Il futuro del vino passa da internet

Internet e i social media come antidoto al calo dei consumi nella Vecchia Europa, come motore crescita in Usa e come timone per i consumatori del Nuovo Mondo? Non sono la risposta completa a questi tre “topic”, ma una gran parte di essa si. A patto che si capisca che servono prima di tutto a stabilire relazioni tra produzione e consumo, e poi, in un secondo momento, a fare business. O almeno, la pensano così gli esperti di “WineFuture” Honk Kong (www.winefuture.hk). Prima di tutto alcuni dati per capire l’impatto dei social media nel mondo del vino. A darli Lulie Halstead, Ceo dell’agenzia di ricerca Uk Wine Intelligence: “tra chi bene regolarmente vino, utilizza i social media applicati “a Bacco” il 13% nel Regno Unito, il 21% in Usa, il 13% in Francia e il 62% in Cina (dato riferito ai consumatori di vino importato nelle città “1 tier”), ma se guardiamo a chi produce non è solo fruitore, ma anche produttore di contenuti (su twitter, facebook, blog e via dicendo), le percentuali scendono al 5, 11, 5 e 48%)”.
La prima riflessione, se si guarda al dato cinese, sarebbe che il web pare fondamentale per creare un rapporto con in consumatori del più grande mercato asiatico. Ma a guardare gli altri tre paesi storici del consumo di vino, viene da chiedersi: quella di internet e dei social media “in salsa enoica” è solo una montatura? “Niente affatto, sono una realtà e anche molto importante - risponde David Pearson, Ceo di Opus One, la joint venture californiana di Baron Philippe de Rothschild Robert Mondavi, diventata in pochi anni uno dei simboli della viticoltura americana , anche grazie all’attività sul web - ma lo sbaglio è pensare che sia sufficiente esserci. Avere un sito, un profilo Facebook o un account Twitter di per sé non è niente. I social servono soprattutto a creare relazione con il pubblico, a capire cosa pensa di te, ad invitare la gente in cantina. Chi produce vino non vende vino, vende esperienze, e le aspirazioni di avere accesso ad una elevata qualità della vita di cui il vino è uno dei simboli. E questo accade da sempre, ma la tecnologia permette un’evoluzione del marketing con un approccio dove è anche il consumatore a dire la sua su un brand, e noi dobbiamo rispondere alle esigenze e alle dinamiche che il pubblico ci chiede. L’obiettivo è essere parete della conversazione, perché il 70% delle scelte di consumo, anche nel vino, è ancora fatto grazie al passaparola”.
“E i social media stanno espandendo a dismisura il potere del passaparola” dice in video conferenza dagli Usa “Mr. Wine Library” Gary Vaynerchuk, uno dei pionieri del “vino 2.0”, che aggiunge: “Internet e i social non sono una bolla, sono uno strumento, un luogo dove tanta gente si riunisce, e noi, chi lavora nel mondo del vino, dobbiamo esserci al meglio possibile per stringere relazioni, raccontare storie e fare business. Anche perché ogni persona non solo in Occidente, ma anche in Oriente, presto, avrà uno smartphone, e ognuno di noi sarà un network. Le persone vivono di relazioni da sempre, questa è solo un’evoluzione. E vedo che quando qualcuno è nel mio o in altri wine shop a comprare qualcosa ha sempre un telefonino in mano, anche per trovare il negozio in cui è disponibile il prodotto che cerca, per avere informazioni: è il “social shopping”, la gente comprerà sempre di più qualcosa di cui la “sua rete” di contatti parla, e parla bene”.
Ma se le potenzialità del “social” sono enormi, anche i rischi vanno calcolati: “possono essere usati per costruire, ma anche contro qualcuno - spiega Jacob Johansen, uno dei più grandi esperti di branding e comunicazione che da 10 anni lavora in Cina - ma è la “democrazia”, e alla fine i migliori emergono. Ma le cantine devono cambiare approccio, devono cambiare le loro strutture di comunicazione e marketing se vogliono puntare sui social. Che non si deve fare perché costa meno dell’advertising “tradizionale”, ma perché si vuole davvero fare relazione, e i soldi che si risparmiano vanno investiti in strutture che curino le relazione, anche perché se sbagli sui social network arrivano i commenti negativi, ed è peggio di quando una campagna tradizionale viene ignorata. Ma soprattutto in Cina il vino ci deve credere, anche perché si riesce a penetrare nel mercato molto meglio”.
Insomma, secondo gli opinion leader internazionali, non si può non pensare a Internet e alla sua declinazione social per cavalcare quello che Vaynerchuk “è il miglior momento della storia del vino, perché non ci sono mai tanti consumatori come ora, ci sono nuovi Paesi produttori che stanno crescendo qualità, e poi sui social si mischiano “idioti” come me con esperti come Parker e Robinson, si stanno aprendo relazioni, e questo è bello, c’è sempre più gente che racconta storie ai consumatori che le condividano e ne fanno parte, c’è un contatto sempre più emozionale e diretto anche grazie alle tecnologie. Io non sto facendo business con tutte le persone che contatto, voglio costruire relazioni con persone che amano il vino o che vorrebbero amarlo, ed è un processo che quando parte è inarrestabile, e poi in un secondo momento porta al business. E se pensate che in questi 5 anni le cose siano profondamente cambiate, rimarrete sorpresi dai prossimi 5 ...”. Perché il “WineFuture”, come tutto il resto, passerà sempre più dal web ...

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