Sorpresa, in cima alla classifica europea di chi passa più tempo ai fornelli non ci sono gli italiani, staccati, e di molto, da inglesi, francesi e tedeschi, davanti anche in termini di soddisfazione per la propria alimentazione. È il risultato, a suo modo sorprendente, dell’indagine Doxa per l’Unione Italiana Food, la più grande associazione alimentare europea nata dalla fusione di Aidepi e Aiipa, che rappresenta 450 imprese italiane di oltre 20 settori merceologici, con 65.000 addetti per un fatturato da oltre 35 miliardi di euro (www.doxa.it).
Un segnale chiaro di come le distanze e le differenze si siano ormai assottigliate, e di come i tre mercati principali per l’export agroalimentare, che insieme assorbono il 36% delle spedizioni, siano più simili a noi di quanto si possa immaginare. Del tempo impiegato in attività che hanno a che fare con il cibo, in effetti, l’Italia spicca solo per quello passato a guardare programmi tv o leggere libri e siti web sull’argomento, che rappresenta l’11,2% del totale, mentre gli inglesi passano più tempo di chiunque altro a fare la spesa (29,6%), davanti ad italiani (27%) e tedeschi (26,9%), con i francesi distanti (20,5%). Ma primi per tempo trascorso ai fornelli (46,8%), seguiti da inglesi (45,3%) e tedeschi (43,9%), staccatissimi gli italiani (34,2%), a pari merito proprio con i francesi per il tempo effettivamente passato a mangiare socializzando, il 27,6% del totale.
Un altro aspetto importante preso in esame dalla ricerca Doxa, che ha coinvolto 2.800 persone nei quattro Paesi analizzati, riguarda il giudizio dato alla propria alimentazione. I più soddisfatti, sommando chi dà un parere positivo a chi ne dà uno abbastanza positivo, sono i tedeschi, con la percentuale dei “soddisfatti” che tocca il 92,2%, superiore a quella dei francesi, gourmand per antonomasia, a quota 91,2%, mentre gli italiani soddisfatti della propria dieta sono il 90,3%, ma appena il 15,7% si dice “molto soddisfatto”, la percentuale più bassa, mentre la più alta è quella inglese: in Gran Bretagna il 28,9% della popolazione è decisamente soddisfatto della qualità di ciò che mangia.
Dati sorprendenti, come detto, ma c’è comunque una spiegazione, come racconta al quotidiano “La Repubblica” la professoressa Roberta Sassatelli, docente di sociologia dei consumi alla Statale di Milano. “Questi dati non mi sorprendono - spiega la docente - perché se le stesse domande fossero state poste alla fine degli anni Ottanta avremmo avuto risultati molto diversi, ma le culture alimentari si stanno uniformando per effetto del mercato comune e di una mutata cultura di genere. Noi italiani ci siamo avvicinati al Nord Europa per la percentuale di donne lavoratrici, mentre inglesi, francesi e tedeschi hanno mutuato da noi l’abitudine al cibo come socializzazione. Le differenze in alcune voci, come il tempo dedicato alla spesa - continua l’esperta - dipendono dalla distribuzione. Inoltre, il minor tempo passato in cucina corrisponde in Italia alla disponibilità di semilavorati come formaggi e prodotti freschi di qualità. Tutte le voci - osserva la Sassatelli - confermano che per noi il cibo ha valore etico e politico, l’italiano mangia con la pancia e con la testa. Così, anche se riduce i tempi per la preparazione dei pasti, impiega di più a leggere etichette, libri o informarsi su Internet e porta comunque in tavola un prodotto di qualità”.
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