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In Italia cresce al ritmo dell’10% all’anno il ricorso a test inutili e “fai da te” per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari. Analisi che costano ai cittadini 300 milioni di euro l’anno, senza nessuna prova scientifica. A dirlo la Siaaic

In Italia cresce al ritmo dell’10% all’anno il ricorso a test inutili e “fai da te” per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari. Queste analisi sono un business che costano ai cittadini 300 milioni di euro l’anno, senza nessuna prova scientifica. A dirlo la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic), che ha provato ad arginare il fenomeno ad Expo, presentando le prime linee guida per l’interpretazione dei test diagnostici, in corso di pubblicazione su Clinical Molecular Allergy, che mette al bando sei test, da quello del capello a quello che misura la forza fisica.
Ed è stato presentato anche un vademecum per i cittadini che sospettano allergie o intolleranze alimentari e un documento guida per i ristoratori, per accogliere senza rischi i clienti allergici. I veri allergici sono oltre 2 milioni e gli intolleranti a lattosio, nickel o altre sostanze negli alimenti sono complessivamente 10 milioni, ma si stima che siano almeno altri 8 milioni gli italiani “ipersensibili immaginari” che imputano a un cibo qualsiasi i sintomi più vari. Per la diagnosi esistono test validati, ma ogni anno sono 4 milioni gli esami fasulli eseguiti in Italia: positivi nove volte su dieci, hanno la stessa attendibilità diagnostica del lancio di una monetina ma fanno sprecare centinaia di euro ai presunti pazienti. Nella lista nera compaiono il test del capello (verifica delle sostanze chimiche per stabilire lo stato di salute); il test sulle cellule del sangue (valuta modifiche nelle cellule a contatto con le più varie sostanze); il test della forza (valuta variazioni della forza quando si manipolano alimenti presunti nocivi); il Vega Test (il paziente ha in una mano un elettrodo negativo attaccato ad un circuito cui si applica l’alimento e si tocca il paziente con l’elettrodo positivo. La variazione del voltaggio indicherebbe intolleranza all’alimento specifico); la Biorisonanza (valutazione con un computer del campo magnetico del soggetto e delle variazioni indotte da un alimento che genera intolleranza o allergia); il Pulse test o del riflesso cardiaco auricolare (che valuta le variazioni della frequenza del polso a contatto con alimento che genera intolleranza o allergia).
Gli esperti della Siaaic offrono, inoltre, ai cittadini un nuovo vademecum, utile per capire come riconoscere una reale ipersensibilità e non cadere nelle costose trappole dei test inutili, e ai ristoratori un documento-guida, perché possano accogliere senza rischi gli clienti allergici. “Purtroppo le intolleranze alimentari, confuse per di più dalla maggioranza con le allergie vere e proprie, sono ormai una “moda” con cui si spiegano i sintomi più disparati: chi non riesce a dimagrire spesso si convince che sia per colpa di un’intolleranza, mentre nessuna di quelle reali può far ingrassare - osserva G. Walter Canonica, presidente Siaaic - orticaria acuta, sintomi gastrointestinali e anafilassi sono i segni distintivi delle allergie, ma oggi basta avere una stanchezza inspiegabile, qualche difficoltà digestiva, mal di testa, dolori alle articolazioni o altri disturbi aspecifici e non facilmente inquadrabili per autodiagnosticarsi un’intolleranza alimentare “prendendo di mira” un cibo quasi a caso. I danni sono molteplici”.
“Le diagnosi attuali sono molto raffinate e ci consentono di individuare con precisione a quale porzione, proteina, dell’alimento si è realmente ipersensibili” interviene Mario Di Gioacchino, vice presidente Siaaic, ma bisogna evitare in ogni modo il fai da te.

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