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L’ALLARME

In Italia il 28% dei terreni coltivabili è sparito in 25 anni. I problemi della viticultura

Secondo “Il suolo italiano al tempo della crisi climatica - Rapporto 2023. Re Soil Foundation” il 90% dei suoli a rischio entro il 2050
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Il suolo è una risorsa da tutelare (ph: freepik)

Come stanno i terreni agricoli del Belpaese? Una risposta, non troppo positiva, arriva leggendo il corposo documento “Il suolo italiano al tempo della crisi climatica - Rapporto 2023. Re Soil Foundation”, realtà nata per salvaguardare il suolo, e dove, purtroppo, non mancano i campanelli di allarme, partendo dal presupposto che il suolo è una risorsa limitata ed il suo impoverimento e degrado non sono recuperabili se non in un arco di tempo di tantissimi anni. Un problema, che, ovviamente, si riflette anche per l’agricoltura e la produzione di cibo. Il Rapporto sottolinea che il 95% del cibo globale viene prodotto direttamente o indirettamente dal suolo e, considerando il tasso corrente di erosione, la stima è che il 90% dei suoli sarà a rischio entro il 2050.
Una previsione che sarebbe catastrofica per la sicurezza alimentare di tutto il mondo. In Italia, il 28% dei terreni coltivabili è andato perso negli ultimi 25 anni, mentre un terzo dei suoli mondiali è già soggetto a degradazione. Fenomeni come urbanizzazione, erosione, acidificazione, inquinamento chimico e impoverimento dei nutrienti sono considerati tra i problemi più importanti a livello globale per la produzione agricola. Viene riportato che la perdita di terreno coltivabile ha un costo economico stimato di circa 400 miliardi di dollari all’anno di produzione agricola persa e, in Europa, la degradazione dei suoli arriva a costare decine di miliardi di euro all’anno. Il 47% dei suoli italiani è in uno stato di cattiva salute in base ai dati disponibili presso l’Osservatorio Europeo per il Suolo; le due principali cause di questo cattivo stato di salute sono l’erosione (23%) e la mancanza di carbonio organico (19%). Viene ricordato che questa valutazione preliminare si basa sui dati utilizzati su scala europea, che comprendono erosione, carbonio organico, contaminazione da rame, suscettibilità alla compattazione, contenuto in azoto, salinizzazione secondaria, consumo di suolo per impermeabilizzazione, contenuto in fosforo, contaminazione da mercurio e aree di torbiere soggette ad utilizzazione agricola. In Italia l’80% delle aree coltivate è esposto a fenomeni erosivi, corrispondente al 23% del territorio nazionale, la soluzione per invertire la rotta potrebbe essere nell’adozione di pratiche agricole più sostenibili, che assicurino una costante copertura vegetale del suolo, e in grado di limitare i fenomeni erosivi.
Venendo alla viticultura il rapporto cita cambiamenti significativi, partendo da esempi virtuosi di fertilità del passato e quindi citando quei filari di vite che “hanno disegnato il paesaggio italiano, risalendo dalla costa fino a quote di 1000 metri, dove viene condotta eroicamente ancora oggi una viticoltura di frontiera grazie a opere di terrazzamento che hanno interessato zone montane e collinari. I vigneti sono arrivati anche in isole rocciose, in cui i vini passiti hanno trovato la loro naturale collocazione, e nel Chianti Classico, con i caratteristici muri a secco che hanno fornito al Sangiovese la possibilità di esprimersi al meglio. In certe zone della Toscana sopravvivono ancora esempi di sistemazioni collinari, come il cavalcapoggio o l’unita a spina, caratterizzate da fossi di scolo lievemente inclinati, che rispettano la natura del suolo e rendono agevole l’allontanamento delle acque meteoriche in eccesso”.
Ma “a partire dagli Anni Cinquanta del Novecento, però, le sistemazioni antiche, sviluppate su base empirica in secoli di osservazioni e tentativi, sono state sostituite da quella a rittochino, con impianti arborei e lavorazioni meccaniche effettuate lungo le linee di massima pendenza. Questa soluzione, particolarmente diffusa in Italia centrale, pur favorendo la meccanizzazione dei lavori agricoli e il deflusso delle acque, ha però accelerato i processi erosivi a causa della vulnerabilità dei suoli, spesso troppo ricchi di limo. L’erosione idrica, asportando suolo in continuazione, ha così ridotto in maniera sconsiderata la fertilità fisica e chimica dei suoli, ma anche la loro capacità di contenere acqua, che va riconsiderata tra le concause dell’incremento degli eventi alluvionali, a causa del ridotto tempo di corrivazione (il tempo che intercorre tra l’inizio dell’evento piovoso e l’arrivo dell’onda di piena alla chiusura del bacino imbrifero) che ne deriva”. Si parla anche della contaminazione da rame nel Rapporto, “per alcuni contaminanti il sistema di monitoraggio europeo dei suoli Lucas dispone di dati raccolti nel 2009. Il rame è uno di questi e risulta essere un contaminante di notevole interesse, visto la contaminazione diffusa dei suoli con questo metallo, specialmente nelle aree storicamente dedicate alla viticoltura. Una delle pratiche più antiche per la lotta alla peronospora della vite è il trattamento con composti rameici effettuato nel periodo di massima incidenza di questo parassita fungino. Di conseguenza nelle zone viticole si può registrare un notevole accumulo di questo metallo nel suolo. Si stima che il 14% del territorio nazionale sia affetto da livelli di rame nel suolo sopra la soglia di allerta di 50 mg kg-1”.

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