“Le api, quale eccezionale termometro della salute ambientale, con il loro disagio ci segnalano il disastro di un ambiente che vive ormai uno stress gravissimo per fenomeni estremi e ormai sistematici, e una siccità che ci collaca in uno stato più prossimo al clima africano che non a quello europeo. I fiori non secernono più nettare e polline e le piante, in particolare quelle arboree, sono in una situazione di perenne sofferenza. Il disastro ambientale di cui le api non mandano più avvisi, ma segnali, è quello di una perdita di fertilità e di una desertificazione incipiente”: è l’allarme lanciato dall’Unaapi-Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani, la voce più autorevole e professionale del settore, secondo cui, in poche parole, l’Italia rischia il disastro ambientale. Le api, colpite da anni dal grave fenomeno della moria dovuto all’uso dei pesticidi e ora impazzite per il clima anomalo, non solo non producono miele, ma il rischio è che non riescano più a fornire il loro determinante servizio di impollinazione alle colture agricole, “che è pari al 70% di ciò che mangiamo”. Se le api si estinguono, profettizzava anni fa l’entomologo Giorgio Celli, rischiamo una carestia mondiale.
Il segnale arriva dalle stesse “sentinelle” ambientali, e dal crollo, mai registrato prima a memoria degli apicoltori, della produzione 2017 in Italia, con un calo del 70% a livello nazionale, ma con picchi fino all’80% in alcuni territori dove il raccolto è praticamente azzerato. “Se la produzione fosse solo dimezzata come nel 2016 potremmo essere contenti. Il disastro è totale - aggiunge Giuseppe Cefalo, presdiente Unaapi, Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani - e nessuno poteva immaginare di arrivare a meno di 1/3 del raccolto come nel 2017”. In attesa di tracciare un bilancio definitivo dell’annata (secondo le stime degli apicoltori, non si arriverà a 90.000 quintali), la drammaticità del raccolto 2017 di miele italiano, fermo al 30% della produzione sulla media (230.000 quintali l’anno), è confermata dal fatto che, sottolinea l’Unaapi, “non si può neppure parlare di varietà prodotte più delle altre, perché c’è poco di tutto, e a salvarsi sono solo i mieli di alta e altissima montagna, solitamente rari e di nicchia”.
È anche per arginare il rischio di un import di miele di dubbia provenienza e qualità, soprattuto da Cina e India che da tempo gli apicoltori chiedono all’Unione Europea l’introduzione di etichette tracciabili per determinare la provenienza, come è stato fatto per il latte. “L’indicazione è quella di consumare miele italiano, non limitandosi al solo aspetto del prezzo, ma di considerare come elemento di scelta la “carta di identità” che deve essere necessariamente dichiarata in etichetta, come imposto agli operatori nazionali dalla legge italiana (con l’indicazione del Paese o dei Paesi in caso di miscele di mieli, presenti nel vasetto commercializzato), o quanto meno di scegliere miele in cui vi è indicata la provenienza, molto semplicemente”.
Sono 45.000 apicoltori censiti ed operanti in Italia che svolgono attività per fini produttivi o di autoconsumo - “superiamo il concetto degli hobbisti”, precisa l’Unaapi (Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani) - e di questi sono ben 20.000 i produttori che detengono l’80% del patrimonio apistico nazionale, pari a 1,2 milioni di alveari sparsi nelle campagne italiane. Un settore importante per l’agricoltura italiana, con il record di 51 varietà di miele, un valore stimato di 150-170 milioni di euro più 2 miliardi di euro dall’attività di impollinazione delle api alle colture agricole.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024