Dire “via Ghibellina 87, Firenze”, a un appassionato di vino, è come dargli l’indirizzo del paradiso, il numero civico della porta dei sogni.
All’indirizzo, infatti, nel settecentesco palazzo Jacometti-Cioffi, corrisponde l’entrata dell’Enoteca Pinchiorri, uno dei ristoranti più famosi e prestigiosi del mondo (3 stelle Michelin), che cela al suo interno una delle cantine più preziose, fornite, ricercate e assortite del pianeta: oltre 100.000 bottiglie, con delle vere e proprie perle dell’enologia mondiale, introvabili da nessuna altra parte del mondo. Un viaggio a ritroso nel tempo che parte dal 1861, l’anno del vino più vecchio in carta, uno Chateau Lafite-Rothschild da 35mila euro.
WineNews è entrato nel caveau della cantina, sotto al ristorante che Giorgio Pinchiorri e la moglie Annie Feolde, alla guida della cucina, gestiscono con indiscusso e riconosciuto successo dagli anni 70, per raccontarvi i segreti di questa storia, la cui prima parte è già on-line su www.winenews.tv, mentre il secondo servizio verrà pubblicato il 9 ottobre.
Quella dell’Enoteca Pinchiorri è stata una scommessa, assolutamente vinta grazie alla lungimiranza e allo spirito pionieristico di Pinchiorri: negli anni 70, infatti, il vino italiano come lo conosciamo oggi non esisteva, i nomi che facevano qualità e che si conoscevano all’estero si contavano sulle dita di una mano, ma Giorgio Pinchiorri incominciò a proporre una serie di degustazioni di altissimo livello anticipando di almeno vent’anni la trasformazione del vino da prodotto del paniere alimentare a oggetto di culto edonistico.
Tra i tavoli rosa antico del ristorante, hanno fatto tintinnare i calici pieni dei vini più prestigiosi del mondo, personaggi come la Regina di Olanda, il primo ministro giapponese Yasuhiro Nakasone (dal 1982 al 1987), gli stilisti Valentino e Armani, la famiglia Bush al completo, e la giornalista-scrittrice Oriana Fallaci.
A schiuderci le porte della cantina è Alessandro Tomberli, direttore di sala e primo sommelier dell’Enoteca Pinchiorri: “tutto inizia nei primi anni ‘70. Questa era - racconta - l’Enoteca Nazionale, c’erano diversi soci e si assaggiavano e vendevano solo vini italiani. Giorgio Pinchiorri era uno dei soci, che a metà degli anni ‘70 ha rilevato tutto, e ha incominciato a importare anche vini francesi, Borgogna in primis con delle vere chicche e borgognotte che andava lui stesso a cercare nei suoi viaggi. Poi sono arrivati i grandi chateau bordolesi, e a fine decennio iniziò ad accompagnare le degustazioni con una piccola ristorazione, buffet, antipastini, piatti freddi”.
E da allora questo paradiso enogastronomico ha iniziato a crescere: la cantina oggi conta circa 130.000 bottiglie provenienti da 19 paesi del mondo, oltre 4000 referenze e innumerevoli premi e riconoscimenti.
Dal 1984 a oggi, senza interruzioni, ha sempre ottenuto il “Grand Award” di “Wine Spectator”, il premio che, come si legge sul sito della importante rivista americana, viene “assegnato ai ristoranti che dimostrano una passione e una devozione senza compromessi per la qualità della loro carta dei vini. Ristoranti che offrono abitualmente una selezione di 1.500 o più etichette, e si distinguono per un ampia scelta dei migliori produttori, eccezionale profondità nelle vecchie annate, bottiglie di grande formato, e una superiore organizzazione e presentazione nel servire il vino”.
Caratteristiche che Pinchiorri rispecchia fedelmente: “Il caveau contiene delle “chicche” uniche al mondo - spiega ancora Tomberli - . Come la “Caredas” una cassa da 16 bottiglie dell’annata 2000 dove vengono raggruppati 4 chateau bordolesi (Petrus, Margaux, Latour, Haut-Brion), venduta en-primeur nel 1995, 5 anni prima della vendemmia, e che è stata fatta soltanto per questo millesimo.
E poi la collezione delle bottiglie n. 1, da La Tache del 1985 al Sassicaia e al Tignanello, di cui l’Enoteca Pinchiorri custodisce la n. 1 del 1971, cioè la prima in assoluto, la number one della prima annata”.
Se gli occhi già luccicano e il palato è già in estasi, “ci sono anche i vini di Henry Jayer, che è stato uno dei grandi produttori di Borgogna, uno dei massimi esperti del pinot nero, e le casse che custodiamo le abbiamo fatte fare noi, su suo permesso, per avere le casse di legno, che non si trovano, non esistono, perché le abbiamo fatte fare solo noi”.
Tra gli scaffali dell’enoteca anche i grandi formati, doppi magnum, imperiali, Mathuzalem, Salmanazar di grandi vini francesi e non solo, che Giorgio Pinchiorri ha portato a Firenze dai suoi viaggi, o arrivati con l’importazioni diretta.
“Ci chiedono, al momento della prenotazione, come vogliamo imbottigliare il quantitativo di litri ordinato, se tutti in bottiglia, oppure qualche magnum. Ovviamente non aumentano le bottiglie, ma suddividono i litri in base ai formati di bottiglie che richiediamo”.
Il “ci” di Tomberli racchiude i nomi più altisonanti dell’enologia mondiale: Mouton Rotschild, Lafite Rotschild, Romanee Conti, Chateau d’Yquem, Petrus.
Ma se in questa ricchezza enoica, che farebbe venir voglia allo stesso Bacco di stabilirvi la sua dimora, si dovessero scegliere proprio due etichette da sogno?
“Il Richebourg di Henry Jayer, uno dei migliori cru di Borgogna, annata ’78, quindi una grandissima annata, un’introvabile magnum. E poi - conclude Tomberli - un’altra rarità, uno Chateau Lafite Bianco del 1959, che al di là della vecchia annata, è rarissimo perché il bianco di Lafite viene prodotto solo in determinate annate, con vitigni semillon e sauvignon: un vino da bere almeno una volta nella vita”.
Nomi da sogno, appunto. Ma a sostenere il sogno, nella realtà, c’è un lavoro meticoloso e perfettamente organizzato, fondamentale per gestire una mole di bottiglie e una qualità come quella di Pinchiorri.
A parlarne e farcelo vedere, nel secondo video di WineNews che sarà pubblicato giovedì 9 ottobre, è Ivano Bosi, direttore della cantina Pinchiorri:
“Si parte dalla “Cantina del giorno”, reparto dove i sommelier, quotidianamente, riescono a trovare rapidamente le bottiglie richieste dal cliente. Qui c’è una bottiglia per ogni tipologia di vino che abbiamo, di alcune anche 2 o 3 a seconda delle necessità, tutte ordinate per tipologia, regione e annata”.
“I vini quando arrivano - continua Boso - vengono portati in cantina e poi le bottiglie vengono controllate, smistate e messe in delle teche, dalle quali vengono portate nella “Cantina del giorno”. Quotidianamente un sommelier si occupa di controllare che qui non manchi nessuna delle referenze che abbiamo in carta”.
Le bottiglie che rimangono nelle casse vengono stivate negli scaffali a vista oppure in degli appositi per le casse intere. Ci sono reparti speciali nel caveau, divisi per regioni.
“Dai bordeaux ai grand Cru di Borgogna, e poi i “premier cru” e i “village”, divisi al loro interno per tipologia e poi per annata”.
Ma tra grandi nomi francesi, è l’Italia ad occupare la parte maggiore.
“Nel reparto italiano, a farla da padrona è la Toscana - il legame con la regione d’origine è indiscutibilmente forte, spiega lo stesso Boso: si parte con i Supertuscan, e poi con tanti Brunello di Montalcino. Poi i piemontesi, di cui abbiamo un ampia selezione dei migliori produttori, e poi e tutti gli altri italiani”.
Per mantenere tanta grazia però, oltre ad una perfetta organizzazione, servono delle condizioni tecniche precise: “Teniamo la cantina a temperatura costante, che è la cosa più importante. Si va dai 12 ai 15 gradi, a seconda dei reparti: dove ci sono i bianchi importanti e gli champagne stiamo sui 12, dove stanno i rossi da invecchiamento intorno ai 15”. E poi l’umidità: “in cantina è costante ed naturalmente buona per la conservazione dei vini, si aggira intorno al 65-70%”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024