Tra lotta al riscaldamento climatico, preferenze e stili di consumo che cambiano, ed una naturale evoluzione propria di ogni settore, anche per il mondo del vino è fondamentale, e lo sarà sempre di più, investire in ricerca. Necessità condivisa, almeno a parole, tanto dalle imprese quanto dal mondo accademico, ma su cui raramente, almeno in Italia, ma non solo, si investe con convinzione a livello sistemico, sia nel pubblico che nel privato, fatta eccezioni per alcuni casi virtuosi che pure non mancano. E spesso, il freno primario, deriva dal reperimento dei fondi necessari. E, sul tema, arriva la “proposta-provocazione” di uno dei produttori più ascoltati del vino italiano, Angelo Gaja. La cui idea, nella formula, è semplicissima: “distrarre” parte del finanziamento pubblico destinato alla promozione del vino italiano nel mondo (altro aspetto fondamentale, vista la sempre maggiore incidenza dell'export nei fatturati delle cantine, ndr) per destinarla proprio alla voce ricerca, concentrandosi in particolare su portinnesti più resistenti ai cambiamenti climatici, nuove varietà adatte alla produzione dei vini a denominazioni italiani più resistenti a malattie e carenze di acqua e così via.
“La Comunità Europea sostiene l’agricoltura con lauta elargizione di denaro pubblico. Ne gode - scrive Gaja - anche il settore vinicolo italiano. Del vino si celebrano i successi per la propensione all’export, la funzione di traino dell’agroalimentare e l’immagine di prestigio che dona al nostro Paese. Oltre un centinaio di milioni di euro all’anno di contributi provenienti dalla Comunità Europea vengono destinati ad azioni di promozione del vino italiano sui mercati extra-europei. È stato possibile beneficiarne per 12 anni. È certo che, almeno agli inizi, il contributo pubblico sia servito per spronare le cantine che seppero beneficiarne ad avviare sui mercati esteri azioni di marketing più coraggiose. Attualmente ne beneficiano cantine che hanno, nel frattempo, acquisito consapevolezza di quanto sia indispensabile operare sui mercati esteri per realizzare obiettivi di crescita e mettere in sicurezza i fatturati aziendali. La larga maggioranza delle cantine beneficiarie - sottolinea Gaja - avrebbero possibilità ormai di attingere a mezzi propri, rinunciando almeno in parte al sostegno pubblico. Si tratta allora di vedere come potrebbe essere investita parte del finanziamento pubblico, distraendola dalla ripetitiva azione di stimolo all’export a beneficio di tutti gli operatori del settore vinicolo. Proporrei di destinarla alla ricerca. Giusto per fare un esempio, orientandola alla produzione di portainnesti e varietà capaci di fronteggiare gli stress climatici, varietà atte a produrre vini Dop ed Igp che possano essere coltivate con zero o bassissimo impiego di fitofarmaci, sistemi di lotta biologica (attraverso l’impiego di parassitanti dei patogeni), metodi di contrasto all’eccessivo accumulo di zucchero nell’uva, individuazione di lieviti dal minore potere alcoligeno, metodi “puliti” di contrasto dei batteri inquinanti che possono alterare la qualità organolettica del vino e non solo. In presenza delle problematiche causate dal cambiamento climatico - sottolinea Gaja - la ricerca scientifica costituisce la risorsa alla quale attingere per ottenere soluzioni di contrasto praticabili e compatibili. La ricerca deve essere sostenuta, non va temuta. I risultati che sarà in grado di fornire dovranno essere disponibili per tutti, alle stesse condizioni. Ai produttori, che non intenderanno attingervi, resteranno maggiori possibilità di differenziazione dei propri vini”. Una proposta che, di certo, non mancherà di far discutere.
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